May 2010

Il declino dell'interesse per la montagna

Nubi nere sulla montagna?Per anni - e ancora oggi al "Comitato delle Regioni" - mi sono occupato della politica della montagna. Fra alti e bassi, direi che si era portato a casa un generale riconoscimento nei confronti dei territori montani e delle loro particolarità.
Ora noto un'evidente situazione di sordità verso questi argomenti. Penso alla recente bocciatura alla Camera di un emendamento su di una vecchia questione quale le agevolazioni su gasolio e gpl in aree montane. Una proroga un tempo automatica questa volta bocciata dal Parlamento. Mi riferisco poi, come cartina di tornasole, all'esclusione dell'Uncem (Unione nazionale Comuni ed Enti montani) dal Comitato per l'attuazione del federalismo fiscale.
Trionfa semmai la retorica pelosa, tipo la "festa dei piccoli Comuni", celebrata in gran pompa giorni fa, mentre i piccoli Comuni montani (che sono la maggioranza) stentano a sopravvivere fra feroci tagli di fondi e desertificazione dei servizi essenziali.
Sarà pur vero che per ora, in larga massima, la nostra Autonomia pone a riparo i nostri Comuni, le cui finanze sono floride, e che hanno nelle Comuni montane un riferimento per abbattere i costi per una serie di prestazioni unificate. Tuttavia è bene capire che l'incomprensione verso i "piccoli" è una marea montante, nella logica "grande è bello" che può fare molto male alla Valle d'Aosta ed è l'esatto contrario di quel federalismo che - prezzemolino buono per tutti gli usi - sembra ormai usato come una caramellina per evitare che puzzi l'alito.

"Grandi opere"

Ci sarà il metrò ad Aosta?Io stesso in passato ho ricordato, evocando il nome sempre buono di John Maynard Keynes (tipo bizzarro, leggetene le biografie), l'importanza delle cosiddette "grandi opere" per scuotere l'economia in un momento di torpore.
Oggi va detto che, comprese le recenti vicende del piano "salva euro", bisogna dimostrare una qual certa cautela, perché rispetto a certe opere costosissime forse è bene agire pian pianino, perché la fase difensiva è delicata e i soldi sono ridotti al lumicino. Un principio inscindibile, tra l'altro, è la reale utilità dei costi-benefici ed è bene evitare bizzarrie.
Basti pensare - per capire come il periodo sia da stringere i denti - alla paccata di miliardi di euro che l'Italia deve assicurare per i prestiti alla Grecia e per l'eventuale salvataggio di altri Stati europei che finissero nei guai.
La Valle non è in questo senso estranea alla realtà che la circonda. Un caso per capirci: la diminuzione dell'occupazione e il crescente fenomeno di contratti più o meno precari è argomento che obbliga a sforzi di fantasia e non basta la mera logica del "contributo".
Questo è un settore su cui concentrarsi, rallentando appunto quanto rinviabile.

Occhio ai giovani

Nei primi anni della mia esperienza politica ero piuttosto giovane per essere deputato e ciò mi ha consentito, per un ragionevole periodo, di incontrare i giovani liceali o universitari su un piano di notevole assonanza.
Una sorta di "feeling" che superava i rischi di approccio con quella che poteva essere colta come "autorità" a detrimento della schiettezza di rapporti.
Poi da "affine" con il passare del tempo cambi veste, in una logica di ufficialità, e nell'incontro con i giovani devi valutare sempre quanto nel dialogo finisca per essere parzialmente modificato dal gap generazionale.

Il sistema democratico parte dal basso (controllo compreso)

I manifesti elettorali ad Aosta per le amministrativeIl federalismo deve andare a braccetto con la sussidiarietà e questo significa che i mattoncini del sistema democratico partono dal basso. Il Comune, in questo senso, è una comunità naturale che precede ogni altra a presidio di un certo territorio e anche del particolarismo di ogni luogo geografico.
Ancora oggi in Valle d'Aosta - l'ho già scritto qualche volta - talvolta basta un colpo d'occhio o una chiacchiera per capire il paese di origine di una persona che si incontra. Il genius loci, l'insieme di specificità di un certo Comune forgia ogni abitante.
Così le prossime elezioni sono, nella lettura che mi piace dei programmi locali presentati alla cittadinanza, privi di fumisterie e improntati alla massima concretezza. La vera politica del "fare", che dovrebbe evitare incroci con altri piani politici che non c'entrano un tubo, perché mischiare i livelli di governo crea solo pasticcio.
Riflettevo in queste ore su di una posta in gioco che c'è sempre a livello locale e che richiederebbe il massimo della trasparenza. Forse uno degli elementi più significativi, nell'esperienza concreta del passato, sta nel fatto che alcuni finiscono per interessarsi del Comune anche seguendo certi interessi. Un esempio: chi compra terreni agricoli che poi, nel dilagare dell'occupazione edilizia, diventano costruibili con un'evidente moltiplicazione... dei pani e dei pesci. Su questo è bene che la popolazioni eserciti il necessario controllo.

Dialogo

Dialogo al pcDice: «Ma tu, sul tuo blog, ogni tanto sei critico. Dove vuoi andare?»
Osservo io: «Io non vado da nessuna parte. Io sono fermo nelle mie convinzioni e nelle mie idee. Quando vedo un mondo che se ne distacca, dissento. Direi che dissento per non dissentire da me stesso, che sarebbe la peggior circostanza possibile. Della serie: al mattino non potrei neppure guardarmi allo specchio».
Replica: «Ma se le minoranze dissentono da una maggioranza, anche nei partiti, allora salta tutto: è una sorta di "liberi tutti" che distrugge e non costruisce».
Replica alla replica: «Il gioco democratico è fatto di equilibri e gli equilibri si ottengono cercando il consenso non usano lo "schiacciasassi" che riduce al silenzio per il fatto stesso che ti passano sopra. Il cervello all'ammasso puzza di totalitarismo ed è un odore nauseabondo di cui non mi voglio impregnare».
Ancora osserva: «Ma la democrazia è il voto, se il voto è fatto e tu "sei sotto", allora "fine delle trasmissioni", da lì in poi sei disfattista e giochi per il nemico».
Ultima risposta: «Il nemico può essere distante o vicino, remoto o dentro di noi. Una volta, forse, era amico il nemico e viceversa sino a perdere l'esatta cognizione, come un gioco delle parti in una grande stanza fatta di specchi deformanti. Allora, ti fermi e chiudi gli occhi e pensi a chi sei e alla libertà come antidoto contro l'angoscia di non fare più quello in cui credi. In fondo è semplice...»

Il nuovo "patto di stabilità" e il riparto che verrà

Roberto CalderoliSarà bene che il sistema regionale e degli enti locali vigili sul nuovo "Patto di stabilità" che si sta definendo a Bruxelles. E' una vecchia questione divisibile in due punti.
Il primo: siamo di fronte ad un atto che avviene nella cosìdetta "fasce ascendente", cioè l'insieme di azioni e di discussioni formative della volontà comunitaria cui la democrazia locale di fatto non partecipa, anche se è ingiusto che sia così, perché la ricaduta sulla finanza locale è enorme e sarebbe legittimo che al Consiglio dei Ministri europei il Ministro Giulio Tremonti fosse affiancato da un Presidente di Regione in rappresentanza di tutti.
Il secondo: l'attuale "patto di stabilità", nella cosiddetta "fase discendente", è diventato una clava impiegata per dare delle gran bastonate in testa al sistema autonomistico. In Valle, dove non si crea debito pubblico, ciò ha evidenziato il paradossale "effetto tesoretto", vale a dire una cifra di centinaia di milioni di euro in continuo incremento che non possono essere spesi!
Che cosa arriverà da Bruxelles è ancora fumoso dal punto di vista tecnico e normativo, ma è indubbiamente qualcosa che potrà avere effetti ancora peggiori in barba allo sbandierato "federalismo fiscale".
Sarebbe interessante, a questo proposito, conoscere gli accordi in via di completamento di cui parla oggi il Ministro Roberto Calderoli - nel rimangiarsi i contenuti offensivi per le Autonomie speciali in una recente intervista su "Libero" - proprio sul "pacchetto" sul federalismo fiscale e il suo impatto per la Valle d'Aosta e il suo riparto fiscale (tutelato da norme di rango costituzionale!) su cui invece pare vigere un "top-secret".

Il gioco di squadra

Una rara occasione in cui sono sceso veramente sul campo di calcioHo giocato in politica in tanti ruoli, fiero di indossare la maglia rossonera della squadra nazionale della Valle d'Aosta.  
Ho imparato che senza il gioco di squadra, pur in presenza di giocatori di diversa caratura, non si va da nessuna parte e alla fine si perdono le partite. Penso all'attuale sottovalutazione del ruolo dei parlamentari valdostani, esclusi da incontri romani importanti per la Valle e di cui meglio di altri posso capire le ricadute negative. 
La metafora calcistica non riesce a descrivere i processi democratici di formazione delle scelte in vista della soluzione ai problemi reali, che è quel che conta, senza dimenticare storia ed idee, sennò si sarebbe tutti la stessa cosa, una purée di partiti, poltiglia indigeribile nel nome di quel bipolarismo che farebbe fare all'area autonomistica una brutta fine.
Ognuno nei ruoli che ricopre è se stesso, ma non solo e spesso il proprio passato parla da solo e torna anche quando ci si è sforzati di nasconderlo e di apparire diversi.
Per sfuggire alla tentazione del "one man show", per non dire dei rischi di sbagliare o di cadere vittima dell'affarismo che è sempre incombente come una "spada di Damocle" che obbliga a leggere in controluce ogni decisione, bisogna condividere senza sfuggire poi alle proprie responsabilità personali, inerenti anche la propria carica, opportunamente incanalate da scelte frutto di discussioni che certo non devono essere infinite.
Esercizio delicato quello del confronto ma necessario. Si chiama "democrazia" e non è solo riassumibile dal pur indispensabile esito delle urne, altrimenti la politica sarebbe solo un'ininterrotta campagna elettorale.

Il piemontese non è lingua minoritaria

Uno scorcio di Torino visto dalla Mole AntonelianaNon è mai facile sintetizzare la complessità di una sentenza della Corte costituzionale, specie quando ci sente coinvolti per una legge statale - in questo caso la legge 482 del 1999 a tutela delle minoranze linguistiche storiche in applicazione dell'articolo 6 della Costituzione - che considero una mia creatura, avendola seguita passo a passo alla Camera ed avendo scritto ampie parti dalla normativa.
Il caso in esame è semplice: la Regione Piemonte tenta di considerare in una sua legge il piemontese come lingua minoritaria, lo Stato reagisce a questo tentivo nato - dice lo Stato - «al fine di parificarla alle lingue minoritarie "occitana, franco-provenzale, francese e walser"» ( da notare che queste sono tutte legittimamente presenti in Piemonte!) nonché di conferire ad essa «il medesimo tipo di tutela» riconosciuto a queste ultime.
Questa disposizione - secondo lo Stato - violerebbe l’articolo 6 della Costituzione in ragione del suo contrasto, da un lato, con l'articolo 2 della legge statale 15 dicembre 1999, numero 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche), che «non ricomprende tra le lingue meritevoli di tutela la lingua piemontese» e, dall'altro, con la consolidata giurisprudenza costituzionale, la quale «pone in capo al legislatore statale la titolarità del potere d’individuazione delle lingue minoritarie protette, delle modalità di determinazione degli elementi identificativi di una minoranza linguistica da tutelare, nonché degli istituti che caratterizzano questa tutela» (così, da ultimo, con la sentenza numero 159 del 2009, secondo cui, anche, la legge numero 482 del 1999 costituirebbe «il quadro di riferimento per la disciplina delle lingue minoritarie», non modificabile da parte delle Regioni, salve, per quelle a Statuto speciale, le deroghe introdotte con norme di attuazione degli statuti).
Quest'ultima osservazione - lo diciamo incidentalmente e sapendo che stiamo lavorando proprio sulle nostre norme d'attuazione della 482! - è sempre per noi una conferma importante della specialità!
La Corte, alla fine dei suoi interessanti ragionamenti, "boccia" (sentenza 170 del 2010) la legge regionale del Piemonte e il tentativo di comprendere il piemontese fra le lingue minoritarie, ma trovo un passaggio ricco di suggestioni, laddove la Corte dice, ricordando la discussione alla Costituente: «... in definitiva, la norma di cui all'articolo 6 della Costituzione finisce per rappresentare – ben al di là di quanto, peraltro, si possa trarre, a proposito di "principî fondamentali", dal semplice argomento della sedes materiae – una sorta di ulteriore tratto fisionomico della dimensione costituzionale repubblicana e non già soltanto un indice della relativa forma di governo. E la previsione della tutela appare direttamente destinata, più che alla salvaguardia delle lingue minoritarie in quanto oggetti della memoria, alla consapevole custodia e valorizzazione di patrimoni di sensibilità collettiva vivi e vitali nell’esperienza dei parlanti, per quanto riuniti solo in comunità diffuse e numericamente "minori"».

Pensieri da Londra

Un saluto da Londra!Londra - da dove scrivo - è una città che mi impressiona per il suo gigantismo ed è una Capitale con la "c" maiuscola.
E' intrisa di quel cosmopolitismo di un Impero che fu, simbolo di quella finanza internazionale che sta risorgendo dal baratro, piena di ragazze - che meraviglia! - in minigonna senza troppo pensare alla taglia, con nobili eleganti che si aggirano al centro sfiorandosi con tifosi di calcio animaleschi (ieri giocava il Chelsea), con grandi magazzini che da noi te li sogni e che racchiudono il mondo in alcuni piani.
Oggi l'Inghilterra - una delle culle della democrazia e dello Stato di diritto, pur vantandosi di non avere una Costituzione scritta con chiaro snobismo verso noi "continentali" - festeggia l'alleanza fra conservatori e liberali, che manda a casa i laburisti, dimostrando la crisi evidente del bipolarismo tradizionale e abbassando l'età di chi governa.
Il contrario dell'Italia dove l'età dei governanti resta elevata e anzi la gerontocrazia incalza. Anche in Valle, se scorriamo l'elenco dei posti al vertice delle istituzioni e delle "partecipate", notiamo la prevalenza del fenomeno.

Le regole della convivenza

Viaggiatori in attesa all'aeroporto londineseUna volta quando andavi in grandi città - tipo Parigi o Londra - scattava l'effetto diversità, vale a dire quella possibilità, retaggio dei grandi Paesi colonialisti (capitava anche in Belgio o nei Paesi Bassi), di verificare cosa fosse la convivenza fra comunità di cultura assai diversa. 
Oggi in Europa questa situazione è diventata la normalità e anche da noi in Valle crescono comunità di "stranieri" e in certi piccoli paesi ciò spicca con maggior evidenza rispetto a realtà di grandi vastità.
L'altro giorno mia figlia Eugénie, che frequenta le medie a Saint-Vincent, mi elencava la provenienza dei suoi compagni di classe: un estratto di Paesi differenti in cui i valdostani sono ormai minoranza.
Questo è il mondo in cui viviamo e colpisce che nei Paesi più generosi in passato, come quelli scandinavi, oggi le regole di accoglienza siano stringenti senza più derogare sulla conoscenza della lingua.
Questa convivenza multietnica, fatta di comprensione, doveri, rispetto e integrazione, è un difficile equilibrismo, le cui regole non vanno lasciate al caso.

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