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22 feb 2017

Dal fondo al pozzo guardare la luce

di Luciano Caveri

Ogni tanto mi prende una profonda malinconia a vedere la situazione della Valle d'Aosta, che ormai ha virato da uno stallo pericoloso ad un precipitare sempre più rapido verso il basso, premessa ad un possibile crash. In gioco - lo dico subito - c'è la circostanza che, scampata la Riforma costituzionale renziana (premessa alla fine delle Autonomie speciali, malgrado formule di salvaguardia che erano di cartapesta), un giorno verrà il redde rationem per le Specialità che non tengono il passo. Capisco che il rischio è quello di sentirsi dire per certe critiche che si tratta di immotivati rimpianti del passato o persino di una forma di ripicca personale perché non sono più in prima linea, ma corro volentieri il rischio.

Non di questo infatti si tratta, perché purtroppo è invece una constatazione che mi addolora e mi preoccupa per chi verrà dopo di noi. Essere osservatore esterno e non protagonista diretto mi consente persino un'osservazione più oggettiva e un approccio che consente di vedere le cose senza certe lenti distorcenti. Per molti anni la nostra Autonomia speciale - e non solo per una questione di risorse finanziarie - è stata un modello invidiato e ricopiato. Ricordo a Roma la fierezza con cui mi presentavo come "valdostano", in un'epoca in cui la specialità ben amministrata ed il messaggio politico che proponevamo era rispettato e persino ammirato. Oggi tutto è diverso: l'impoverimento della Valle - economico e pure morale - corrisponde ad una Regione autonoma diventata una macchina burocratica priva di spinta politica e lacerata da una marea montante di problemi irrisolti per manifesta incapacità. Oltretutto in un momento in cui la comunità rischia di perdere molti elementi distintivi ed identitari. La rete di rapporti politici fuori dalla Valle, un tempo solida e soprattutto utile si è degradata e oggi pesa una nostra solitudine. Questo vale anche per gli storici rapporti con Trento e Bolzano, che sono rimaste evocazioni di maniera prive di sostanza reale, quando invece solo l'interscambio di esperienze ci può arricchire, mentre evitando di avere confronti che ci facciano migliorare non si va da nessuna parte. Una volta capofila di temi decisivi come la montagna e le minoranze linguistiche, siamo ormai assenti dai luoghi che contano a Roma come a Bruxelles. Risultiamo sempre più fra i non pervenuti. Pensiamo ai contatti dell'"autour de nous", sfociati nell'idea della Euroregione Alp-Med e nel lavoro attorno alla Macroregione Alpina. La prima è stata soffocata in culla ed è sparita di scena. La seconda vede la Valle fra le comparse e non fra gli attori principali. Ci si difende a colpi di comunicati stampa ma manchiamo a troppi tavoli che contano e questo nuoce all'esistenza stessa dell'Autonomia speciale, che cessa di esistere se le proprie prerogative vengono svalutate nell'azione quotidiana. Ma è normale che sia così quando mancano progetti per il futuro è si vivacchia fra lotte intestine e la sola logica elettoralistica. Queste sono amare constatazioni che prescindono dalla polemica sterile con Tizio o Sempronio, ma sono la dimostrazione che Tizio e Sempronio hanno ridotto la Valle d'Aosta ad una Provincia dell'Impero, priva di un ruolo forte e di un protagonismo politico, che pesa come un macigno sull'avvenire. Fa sorridere chi in queste ore fa il ganassa nelle dichiarazioni pubbliche in difesa dello status quo. Esiste purtroppo rispetto a questa deriva o una muta rassegnazione o una logica protestataria priva di frutti reali. La terza via è rimboccarsi le maniche e rovesciare il tavolo.