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30 ott 2020

Il generalista

di Luciano Caveri

Chi ha fatto, com'è capitato a me, la gavetta da giornalista ha provato sul campo che cosa significasse essere "generalista" e ciò vuol dire occuparsi, per scriverne, di argomenti molto vari. Cronista della "Rai" andavo dal processo in Tribunale alla cronaca del Consiglio Valle, dalla sciagura in montagna alla riunione dei sordomuti e via di questo passo, cercando di non perdere il filo. Quando mi sono trovato ad essere il Deputato della Valle d'Aosta sono diventato anche in quel caso un parlamentare generalista, sbalzando da una Commissione all'altra e da un tema all'altro, secondo le necessità. Era non facile raccapezzarsi, ma finivi per avere un buona infarinatura nelle questioni da affrontare, che annotavo su apposite agendine e poi nei primi strumenti elettronici precursori dell'attuale mondo digitale.

Per cui capisco il paradosso del voler rilevare il rischio crescente del generalismo come segno dei tempi. Faccio ancora un passo indietro: il generalista per eccellenza era nella mia infanzia la figura mitica di paese dell'opinionista da bar, figura ancora fulgida ed esistente. Appoggiato al bancone, non obbligatoriamente sobrio, si esibisce in sentenze micidiali su qualunque argomento dello scibile umano. In politica capitava analoga situazione in certe riunioni di partito, dove proponevi qualche argomento di discussione che avevi studiato a fondo e con impegno e c'era sempre chi, non sapendo un tubo dell'argomento, spiegava a te le questioni come se nulla fosse. Ora questa tipologia di persone si è spostata sui "social" e sono in agguato come avvoltoi per impartire lezioni, dettare le linee, argomentare le loro ragioni, senza curarsi minimamente del fatto per nulla marginale di conoscere a fondo quello di cui parla e sentenzia. Questa posizione non è più personale e dunque incanalata ed in fondo conosciuta e come tale evitata o subita, ma sul Web è diventata torrentizia ed in presa diretta. L'effetto moltiplicatore e l'alleanza fra generalisti si fa imponente e non c'è replica, neppure circostanziata e documentata, che regga l'impatto del grafomane o del verboso di turno. La stessa tentazione razionale di reagire, facendosi forte di argomentazioni solide, si infrange contro l'intrinseca inutilità di chi tutto sa e non deflette di un millimetro rispetto alle proprie certezze. Per chi ama la politica e deve occuparsi di Amministrazione diventa un flagello, facilitato appunto dalla miriade di canali con cui il generalista può irrompere nella tua vita professionale e pure personale, perché nella logica di piccole comunità come quella valdostana è facile usare una mail, scoprire il telefonino e invadere con "Whatsapp" senza garbo ed educazione. Non esiste orario o festività: l'invasione dei generalisti è implacabile come una marea montante. Peggio di loro ci sono solo i "troll", neologismo virtuale che non ha nulla a che fare con le leggende norvegesi ma descrive chi si diletta a inviare messaggi sgarbati, volgari, offensivi e violenti. Secondo lo studio condotto da alcuni ricercatori canadesi "Trolls just want to have fun", chi si diverte a insultare il prossimo, protetto dall'anonimato, è cinico e privo di scrupoli, narcisista, portato alla psicopatia e soprattutto gode della sofferenza altrui. Ma torniamo al generalista: se reagisci con gentilezza e comprensione non te li stacchi più e alcuni diventano compulsivi e onnipresenti. Se respingi con fermezza certi attacchi qualcuno diventa stalker e si appiglia alla tua mancanza di dialogo e scarsa apertura al confronto di idee: le loro non le mie. Non si tratta - chiariamolo - di forme di democrazia diretta. Un giorno, a questo proposito, capiremo il grande abbaglio derivante dal "tamtam" dei "grillini" sulla nuova democrazia del Web. Persino i parlamentari "pentastellati" - e non solo per evitare di spendere i loro soldi - hanno capito certe baggianate come la "Piattaforma Rousseau" e gli appelli alla scomparsa di ogni forma di rappresentanza parlamentare, sostituiti da voti dei cittadini con un clic su temi sui quali sanno poco o niente nel nome del fascino della folla (in romanesco l'impagabile «la ggente») che nella solitudine del proprio schermo di computer fa e disfa.