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02 nov 2020

Non bisogna mollare

di Luciano Caveri

L'estate mai come ora appare distante e ciò vale anche per quel pezzo d'autunno in cui si respirò - uso il passato remoto per dare il senso che sembra sia trascorso chissà quanto tempo - un'aria di grande speranza, come se dovessimo anzitempo uscire dal tunnel e considerare tutto finito. Illusione alimentata da uno stolido ottimismo di chi considerava gli esperti "uccellacci del malaugurio". Ora, invece, con crudo realismo di dati epidemiologici che scuotono, bisogna affrontare una realtà di nuovo difficile e la Valle svetta per la pericolosità del contagio in questo giorni. Dati crudi e veritieri (altrove non è così), che spaventano e certo bisogna reagire e lo si sta facendo. So bene, come avvenne in certe settimane a cavallo tra inverno e primavera, che rischio di essere un disco rotto nello scrivere qui della pandemia, ma non riesco a pensare ad altro e, incontrando molte persone per ragioni del ritrovato ruolo politico, vivo con una certa inquietudine, sapendo quanto il virus circoli e mai come oggi ho persone care che sono risultate ammalate.

Aria dei tempi ed esempio preclaro restano i "dpcm - decreti del presidente del Consiglio", che sono andati sempre peggio in una decadenza che dimostra come non sia sempre vero che sbagliando si impara. Già il giurista Sabino Cassese aveva scritto: «Sono stati troppi, e troppo contraddittori. Sono stati lo strumento sbagliato. E il Parlamento non ha presidiato a sufficienza la produzione di "dpcm". Per non parlare del modo in cui erano scritti». Ma certi appelli non sono serviti e di recente sono stati ristretti gli spazi delle ordinanze regionali, che possono essere solo più peggiorative, cioè più severe e non allargare le maglie. Scelta del tutto opinabile e che mostra un inquietante centralismo rappresentato dal ministro PD più filo-grillino, Francesco Boccia, che capisce poco di regionalismo ed è come - uso il «capra, capra, capra» del sulfureo Vittorio Sgarbi - una "capra" messa a fare la guardia in un orto. Ma soprattutto, a parte la ridondanza dei temi ed il catastrofico burocratese borbonico dei "dpcm", non hanno mai nelle norme quella caratteristica di duttilità che dovrebbe essere necessaria per adeguarsi alle situazioni così diverse le une dalle altre in un Paese dalle diversità incredibili. Ed invece tocca vedere come lo Stato giacobino per eccellenza, la centralista Francia, abbia scelto formule di intervento sulla recente ondata pandemica che, pur nella severità, ha modulato sul territorio misure più adatte da zona a zona, mentre il Governo italiano ha scelto la strada dello statalismo incombente. Purtroppo questa storia non è nuova e l'emergenza acuisce questa idea di tutto fare e controllare dal centro, contro una democrazia locale che è stata la spina dorsale della reazione contro il "covid-19" quando apparve sulla scena, ed sono ancora oggi le Regioni e Comuni il caposaldo rispetto ad un Governo che a Roma balbetta in assenza di una strategia valida. Purtroppo ritardi ci sono stati anche in Valle e sono frutto della lunga agonia della scorsa Legislatura regionale e del suo allungamento con le elezioni spostate dopo l'estate. Ora la pandemia non ci risparmia ed avvolge tutto con la sua cappa mefitica. Non bisogna mollare.