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21 nov 2020

La Sindrome da pagina bianca

di Luciano Caveri

Oggi ho la "Sindrome da pagina bianca": questo è il termine usato per indicare quella situazione in cui, quando si deve scrivere, ci si trova bloccati di fronte al foglio bianco senza ispirazione per farlo. Per me è avvenimento rarissimo, come sa chi mi conosce, in particolare quella cerchia di amici più stretti che mi incoraggiano per la costanza in questa mia espressione pubblica o mi prendono in giro per il rischio di maniacalità, perché scrivo qui da anni i miei pensieri. Qualunque sia il mio stato d'animo, la stagione attorno a me, la mole di altri impegni lascio qui una pagina, scritta ormai da anni sulle note del mio telefonino sin che la vista ce la farà. Non credo che in questa voglia di raccontare e appuntare varie cose ci sia nulla di patologico, tipo grafomania, perché ritengo che darsi una disciplina - in questo caso la scrittura quotidiana con il rischio che non sempre la ciambella venga con il buco - sia utile e nel cimento cui mi sottopongo esista l'idea che serva a non impigrirsi intellettualmente ed a tenere il cervello in esercizio.

Poi naturalmente ci sono altre ragioni e quel che sto per dire non appaia un paradosso o un fuori tema. Sono nato come giornalista radiotelevisivo e con il tempo mi sono convinto che l'ideale per questo tipo di espressività dovrebbe essere quello di non leggere mai cose scritte, ma di avere solo appunti, perché si tratta di un modo di comunicare che ha bisogno di spontaneità. Esattamente come i discorsi di chi fa politica e deve piegare il proprio modo di porsi al rischio di andare a braccio, come condizione per farsi ascoltare. L'altra ragione dello scrivere deriva dalla constatazione che sia un metodo per fissare i propri pensieri in un momento, ben sapendo che il rischio di un loro invecchiamento esiste, perché sullo stesso soggetto nel corso della vita si può cambiare opinione. Molti non scrivono non solo perché non ne sono capaci e sono in numero crescente per molte ragioni, ma perché non vogliono scoprirsi e, specie in politica, esistono molti camaleonti che, ossessionati dai consensi, per non scontentare nessuno traccheggiano e non si esprimono mai su di un soggetto con la necessaria nettezza. Ma torniamo allo scrivere, che per me è soprattutto questo spazio e che credo sia frutto anche della voglia di leggere che ho sempre avuto e che trovo sia uno dei grandi piaceri della vita. Pare, così mi dice chi mi ricorda da bambino, che avessi sempre un libro in mano. Ricordo, anche quando non avevo voglia di studiare materie che non mi piacevano, la voglia di leggere i libri della vasta biblioteca di famiglia, di comprarne nelle librerie, di prenderne a prestito nelle biblioteche. Ricordo certi momenti di solitudine nella bella biblioteca del Liceo Classico di Ivrea in cui scorrere i titoli alla ricerca di che cosa leggere mi dava un piacere fisico. Anche oggi vorrei avere più tempo per farlo e c'entra con lo scrivere. Il grande scrittore americano William Faulkner così consigliava: «Leggere, leggere, leggere. Leggere tutto, robaccia, classici, buoni e cattivi, e vedere come fanno. Come un falegname che lavora come apprendista e studia il maestro. Leggete! Assorbirete. Poi scrivete. Se è buono lo vedrete. Se non lo è buttate tutto dalla finestra». Anche a me capita, nella piccolezza di questo mio scrivere, di buttare via o di far maturare uno spunto che da immaturo diventa infine produttivo. Poi nella sostanza che sia utile o inutile è altra storia.