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30 dic 2020

Lezioni dalla pandemia

di Luciano Caveri

Ci serve questa prova? Lo dico avendo vissuto questi mesi alla ricerca di un bandolo della matassa in questa pandemia. Tutto poi si amplifica con i cambiamenti cagionati in queste vacanze di Natale con l'evidenza rispetto a quanto avveniva solo un anno fa. Quando, solo per fare un esempio, sciavo come un ossesso e leggevo di questo virus in Cina, che appariva remotissimo. Chi ne sapeva di più anche in Europa sottostimò l'evento e dunque un anno dopo, al posto del «sereno Natale» annunciato dal serafico Giuseppe Conte, ci siamo trovati imprigionati e privati delle nostre abitudini e la prossima puntata dell'ottimismo disatteso saranno i vaccini. Ha scritto Paolo Coelho: «Quando meno ce lo aspettiamo, la vita ci pone davanti una sfida, per provare il nostro coraggio e la nostra volontà di cambiamento». Mi sembra giusto riflettere su questa capacità umana di adeguarsi alle situazioni grazie all'intelligenza che ci caratterizza, nel bene come nel male.

Alla fine di quest'anno, nella introspezione che si confronta con avvenimenti e fatti, resta qualcosa nel setaccio in cui ho passato tanti pensieri. Non è nulla di millenaristico o punitivo e neppure di cospirativo o dietrologico. Aspetti deterministici delle situazioni che mi repellono, perché resto ancora sempre e solo alla ragione, il che non vuol dire affatto rifuggire la forza dei sentimenti. Alla fine quel che emerge è il pensare alle cose belle della vita ed a rivalutarle come se restassero a galleggiare in superficie dopo una tempesta o, metafora più montanara, riapparissero da sotto una nevicata epocale che aveva reso tutto informe. Lo scrittore Pascal Quignard così ha osservato: «Les choses vivantes sont toujours des souvenirs. Nous sommes tous des souvenirs vivants de choses qui étaient belles. La vie est le souvenir le plus touchant du temps qui a produit ce monde». Certo ognuno ha le sue cose. Io ho le mie. Annotare le cose, fare gli elenchi del da farsi, mettere ordine al mio disordine, leggere qualunque cosa, l'alta montagna e sott'acqua nel mare, la neve e la sabbia, lo stupore, l'amore, far ridere e raccontare. Ognuno ha il suo modo di essere e certe cose cambiano secondo l'età, lo stato d'animo, le circostanze. Viene in mente Jorge Louis Borges: «Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che intuisce un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo». Ognuno ha reagito alla pandemia a proprio modo. Personalmente credo che questa fragilità che abbiamo dimostrato abbia avuto la caratteristica in chi ha saputo ragionarci di risvegliare la consapevolezza che le norme che hanno quasi sempre regolamentato la nostra vita sono stati strumenti rozzi a causa dell'arroganza dello Stato. La scelta di centralizzare le decisioni e di delegarle ad autorità sanitarie che tra loro bisticciavano a ogni piè sospinto ha dimostrato che non si può governare da Roma le emergenze senza tenere conto delle diversità dei territori. E le Alpi sono state cornute e mazziate con scelte urbane e di pianura.