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16 gen 2021

Fiori sulla testa

di Luciano Caveri

Durante il lockdown mia moglie mi ha tagliato i capelli: ero davvero indecoroso e dovevo tornare a parvenze umane. Si era fatta consigliare dal parrucchiere che abbiamo in comune, Andrea Stévenin, verrezziese con bottega ad Aosta. Per cui la cucina è stata trasformato in luogo di tosatura con qualche vago nervosismo da parte mia. Invece mi sono dovuto ricredere delle capacità dell'improvvisata hair stylist. Da bambino venivo portato dal barbiere (così si diceva una volta) a Saint-Vincent, a qualche chilometro da casa mia. Oggi Beppe Vallotta, questo il suo nome, è mio vicino di casa e si ricorda di me bambino. Fa sempre impressione trovare qualcuno che parla di te in quell'età di cui ho scarsa memoria. Pare che fossi chiacchierone e che ad accompagnarmi fosse sempre mio papà.

Poi, diventato autonomo, andavo a pochi metri da casa mia, nella già citata Verrès, da Gianni Rossi, che mi ha visto da ragazzino diventare adulto. Poi è arrivato Stévenin, che mi ha già trovato prima brizzolato ed ormai tendente al bianco vero e proprio. Da bambino - lo vedo dalle foto - mi tenevano i capelli corti. Castano d'inverno, d'estate venivo chiamato da qualche amico «il biondo», perché quella la tinta. Idem crescendo, quando il taglio era bello lungo, ma senza mai essere un vero e proprio capellone, com'era invece in una certa era mio fratello Alberto, più vecchio di me. Ho la fortuna, almeno la ritengo tale, di essermi imbiancato non prestissimo, ma soprattutto di non aver perso i capelli e ancora oggi non ho problemi tricologici. Anzi, crescono persin troppo e devo spesso andare da Andrea. Il suo negozio (sarà giusto dire così?) è uno straordinario porto di mare, considerando tra l'altro che nella parte sotto ci sono tatuatori (non ho tatuaggi, per la cronaca) e il via vai di tutti i generi e di ogni età è uno spettacolo nello spettacolo di cui lo stesso Stévenin (figlio di un impareggiabile meccanico, Valter) è una sorta di direttore d'orchestra con i dread in testa. E' una delle persone più generose che conosca, e nell'animo resta sempre un "Cavaliere di Caterina", come avviene nei giorni del Carnevale storico di Verrès, di cui piango l'assenza in quest'anno (lo scorso anno ci fu per un pelo). Dimostrazione quel suo "Andreastudio" (anche il socio di chiama Andrea!) di una tipologia ben diversa dal passato, quando non esisteva un mischio uomo e donna, perché il barbiere era al maschile, con tanto di gadget maschilisti con donnine nude, e la parrucchiera era invece un regno al femminile e lo ricordo bene quando accompagnavo mia mamma nel rito periodico di «andare a farsi i capelli». Oggi siamo al mix e mi divertono molto gli uomini che si fanno fare anche il colore. Ricordo un caro collega giornalista della "Rai", che vantava un colore rosso, degno di una coloritura da carrozziere. Il vezzo della tinta fa il pari con il parrucchino, la cui visibilità grottesca non è giustificata neppure dalla più grande pelata possibile. Sui capelli, per aggiungere un tocco divertente, come non si fa a non ricordare Gianni Rodari. «Se invece dei capelli sulla testa ci spuntassero i fiori, sai che festa? Si potrebbe capire a prima vista che ha il cuore buono, chi la mente trista. Il tale ha in fronte un bel ciuffo di rose: non può certo pensare a brutte cose. Quest'altro, poveraccio, è d'umor nero: gli crescono le viole del pensiero. E quello con le ortiche spettinate? Deve avere le idee disordinate».