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09 feb 2021

Questa storia dei confini regionali

di Luciano Caveri

La Valle d'Aosta è molto piccola e la sua parte abitabile, per via delle montagne, è ancora più ristretta. Lo ripeto in questi giorni al mio piccolo Alexis, che sta studiando geografia. Dovrebbero capirlo anche a Roma con questa storia della "zona gialla" che però si è accompagnata, nell'ultima tornata di colorazioni dell'Italia, con la chiusura dei confini regionali. Questo significa che in Regioni grandi puoi muoverti in lungo e in largo, mentre noi restiamo chiusi nel nostro perimetro. Per carità, per un autonomista valdostano questa storia del proprio ambito non scandalizza, ma si ferma sul limitare degli attuali danni economici che stiamo subendo per questa perimetrazione. Prendiamo un primo caso: gli impianti a fune. Dopo mesi di tira e molla si ipotizza che il protocollo di sicurezza per sciare, predisposto dalle Regioni alpine e sottoposto al ruvido e talvolta irragionevole "Comitato tecnico scientifico", si possa sbloccare il 15 febbraio. Ora, intendiamoci bene, come valdostano politico e sciatore sono contento che tardivamente si prenda atto - ed il caso svizzero è esemplare da alcuni loro studi - che la pratica dello sci e la salita sugli impianti non incide sui contagi ed accetto che da noi le misure siano più severe per pochi metri fra Cervinia e Zermatt.

Resta però grottesco che l'apertura sia caducata da una constatazione facile da capire: lo sci è alimentato principalmente, oltretutto in assenza di turisti stranieri, dalla clientela che proviene da altre Regioni italiane. Per cui l'impedimento a giungere dall'esterno della Valle significa non avere convenienza economica nell'aprire i comprensori e, se lo si dovesse fare solo per i residenti, si dovrebbero aprire porzioni minimali delle aree sciistiche per evitare di appesantire i già agonizzanti bilanci delle società funiviarie. Prendiamo il Casino de la Vallée, che non è una piccola sala giochi, ma una società importante come numero di dipendenti e, come dimostrato dall'ultimo bilancio noto, per i soldi che guadagna, dopo l'operazione ancora in corso di ristrutturazione. Anche in questo caso la chiusura dei confini regionali implica un'ovvietà: mancano i clienti per alimentare i giochi e non conviene aprire per i pochi giocatori locali. In più in una Casa da gioco, anche se si aprisse alle Regioni vicine, non potrebbe chiudere alle 22 per il coprifuoco, trattandosi di un'attività che si sviluppa la sera e la notte ed è quanto facile constatare con un minimo di buonsenso. Che fare? Certe aperture dei confini potrebbero avere una logica macroregionale, che so: Valle d'Aosta con Piemonte, Lombardia e Liguria, che farebbe contento anche il Casinò di Sanremo e analoga aggregazione nel Nord Est favorirebbe il Casinò di Venezia e varrebbe certo anche per l'attività sciistica, che ho usato come altro esempio. Ci vuole, insomma, un minimo di duttilità e piegando la rigidità delle norme ad esigenze dell'economia, oltretutto in assenza totale, allo stato attuale, di quei ristori copiosi e reali senza i quali in troppi sono destinati a portare i libri in tribunale con un "effetto domino" che si sa dove comincia ma non si sa dove potrebbe finire. Esprimo la mia preoccupazione, come ho già fatto con la baggianata delle chiusure serali dei ristoranti, che applicano delle misure di sicurezza per pranzo che avrebbero senso per la cena, pur mantenendo l'orario attuale del coprifuoco. Invece ogni apertura avversata da decisioni draconiane viene combattuta come se chi propone alternative fosse un complice della pandemia ed uno sciagurato senza raziocinio!