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10 feb 2021

Il banchetto di Conte

di Luciano Caveri

L'ultima conferenza stampa davanti a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte, improvvisata su di un banchetto, spero sia l'ultima spiaggia di una stagione da dimenticare, di cui lo stesso premier è stato interprete. Lo stesso successo che Conte ha conquistato presso alcuni, compresi miei conoscenti, è il segno di uno smarrimento da cui bisogna riprendersi in fretta contro la pochezza, la rozzezza e il pressappochismo che hanno avvelenato la politica italiana. Mario Draghi potrebbe essere in questo un ritorno ad una normalità di rapporti istituzionali contro la volgarità di una politica fatta di invettive e poi di immobilismo. Stile che è dilagato e lo si vede talvolta anche in Valle d'Aosta con forze politiche fuori dal Consiglio Valle che scelgono l'insulto reiterato al posto del confronto, convinti ormai nel loro brodo ideologico che questa violenza verbale sia lotta politica che si sostanzia nella sterile ricerca di costruzione di un nemico. Avere idee e proposte è difficile per chi é settario e i pentastellati sono stati un modello.

Traggo dal "Foglio" qualche pensiero - flash di impressioni che condivido - di Francesco Cundari: «Agli psicanalisti del potere, agli appassionati esegeti della politica-spettacolo, agli esperti di letteratura, costume e società, dovranno dunque subentrare gli economisti, i giuristi, i politologi. Forse non sarà la fine della storia. Di sicuro è la fine della fiction. Certo sarebbe ingiusto datare al 2018, e attribuire dunque ai soli populisti, l'inizio di quel processo di crescente fictionalizzazione della politica, cioè la sua autotrasformazione in docudrama, o per meglio dire in docufarsa». Già la farsa, che ha portato a situazioni assurde e non a caso Cundari cita più avanti il grottesco Federico Fellini e il caustico Ennio Flaiano, prima di riaffondare la lama: «La legislatura cominciata con la richiesta di impeachment per Sergio Mattarella, avanzata da Luigi Di Maio, che lo accusava di aver impedito la nomina di Paolo Savona al Ministero dell'Economia per conto dei poteri forti di Bruxelles, si chiude con lo stesso Di Maio che invita il "Movimento 5 stelle" ad ascoltare senza pregiudizi le parole dell'ex presidente della Bce, perché "siamo la prima forza politica in Parlamento e il rispetto istituzionale viene prima di tutto". Prima di tutto, certamente. Ma dopo un'inesauribile serie di demenziali rivoluzioni abortite e insurrezioni farlocche, fortunatamente fallite anche quelle. Dall'assalto al Parlamento di Strasburgo con Alessandro Di Battista alle riunioni con i gilè gialli durante le devastazioni di Parigi, fino alla clamorosa svolta europeista. Dalla tradizionale linea trumpiana, ben rappresentata dalle dichiarazioni del Jake Angeli di Roma Nord, detto "Dibba", sul fatto che "in politica estera Donald Trump si sta comportando meglio di tutti i presidenti Usa precedenti, incluso quel golpista di Barack Obama”, alla densa lettera a "Repubblica" in cui Di Maio, intervenendo nel dibattito sulla "nuova via progressista", sottolineava il "valore del multilateralismo". Senza dimenticare la politica interna, a cominciare dalle campagne di odio contro il Partito Democratico, come quella su Bibbiano, con lo stesso Di Maio che nel luglio 2019 scandisce in un video: "col partito che in Emilia Romagna toglieva alle famiglie i bambini con l'elettroshock per venderseli io non voglio avere nulla a che fare" e il 5 settembre 2019 giura da ministro degli Esteri in un governo con il PD». Una schizofrenia da cui dobbiamo ancora riprenderci e che deve servire per evitare, anche per l'assoluta mancanza di memoria di gran parte dei cittadini, un flop del Governo Draghi, perché un Governo di emergenza ci sta ma con patti chiari e amicizia lunga. Nel caso della Valle d'Aosta sia chiaro che non si può vivere sulla difensiva dell'Autonomia come se i nostri diritti dovessero essere sempre oggetto di cambiamento. Chiude Cundari: «E' chiaro che con Draghi si chiude, almeno per un po', la stagione dei presidenti del Consiglio costantemente in diretta "Facebook" (stagione inaugurata da Matteo Renzi, per la verità, con l'atroce invenzione del "Matteo risponde"), e non solo perché Draghi non ha account social (glieli apriranno, non v'illudete). Si chiude, o quanto meno si accantona, la stagione dei leader politici al tempo stesso anchorman televisivi e influencer social, in cui i follower valgono più delle tessere e i sondaggi pesano più dei voti. Se infatti il governo Draghi partirà, è evidente che di qui al 2023 l'unica cosa che conterà davvero saranno i numeri in Parlamento. Il che significa che Lorenzo Guerini conterà molto più di Goffredo Bettini, e forse pure di Renzi, anche se fa un centesimo delle loro interviste, e i talk show sicuramente non se lo contendono. Se tutto va bene, si capisce che comincia una stagione molto meno spumeggiante e molto più faticosa, che richiederà anche osservatori capaci di approfondire i problemi politici senza pigrizie e senza pregiudizi, capaci di riconoscere le ragioni degli altri anche quando non collimano con le proprie, con umiltà e pazienza». Quanta verità!