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29 lug 2021

Resilienza e resistenza

di Luciano Caveri

Gli spazi di dibattito pubblico su temi cruciali dovrebbero essere la quintessenza della democrazia. Specie quando, come di questi tempi, si vivono situazione difficili e per non affondare nel fango delle emergenze bisogna fissare lo sguardo non solo alle difficoltà presenti, ma guardare più a quello che sarà. E invece il dibattito politico in Valle troppo spesso langue e la crisi dei partiti politici - senza eccezione alcuna - costringe a pensare a nuove forme di aggregazione. La forma partito è decotta, così come sono inefficaci comitati e "comitatini" che si fissano su di un punto e non si muovono di lì. Penso sempre che si tratta di una grande chance per il mondo autonomista, che deve riaggregarsi in modo intelligente, focalizzandosi su temi e problemi, utilizzando le molte energie oggi ferme al palo. Sarà a mio avviso la sfida dopo l'estate da non perdere, altrimenti una cappa di indifferenza ci travolgerà.

Intanto, il mio amico occitano Mariano Allocco - sollecitatore seriale di temi importanti - lancia una dibattito sulla parola più di moda, utilizzata persino come simbolo del grande sforzo europeo di ripartenza post "covid": la "Resilienza". Così ne ha scritto Simona Cresti sulla "Treccani", citando un altro autore: «Stefano Bartezzaghi la definisce "parola-chiave di un'epoca", sottraendola al rapido declino cui sarebbe destinata in quanto semplice "parola alla moda". "Resilienza" assume un valore simbolico forte in un periodo in cui l'accesso interpretativo più frequente alla condizione economica, politica, ecologica mondiale è fornito da un'altra parola, "crisi": lo "spirito di resilienza" rappresenta la capacità di sopravvivere al trauma senza soccombervi e anzi di reagire a esso con spirito di adattamento, ironia ed elasticità mentale». Allocco parte da distante: «Parola di origine latina di recente utilizzo, compare per la prima volta sui giornali in un articolo nel 1986. Nel campo dell'ingegneria, indica la capacità di un materiale di riacquistare la propria struttura o forma originaria dopo essere stato sottoposto a schiacciamento o deformazione. Se con "resilienza" si intende la capacità di un corpo sottoposto a stress a recuperare la forma precedente finita la crisi senza guasti evidenti, sul piano sociale è la capacità di una persona, di una comunità, di una Nazione di adattarsi a situazioni avverse aspettando di recuperare la "forma" iniziale finita la crisi senza innescare reazioni che potrebbero mettere in crisi l'insieme. Questo atteggiamento ora è presentato come reazione positiva, mentre "resistere" rifiutando e opponendosi a forzature inaccettabili viene considerato un atteggiamento negativo». Si incomincia ad intravvedere la testi: perché "Resilienza" e non "Resistenza"? Prosegue Allocco: «Una domanda aspetta una risposta, perché in questo momento di crisi pandemica, economica e ecologica si è scoperta l'importanza della resilienza? Perché improvvisamente questa parola è comparsa a tutti i livelli, campeggia sulle prime pagine dei giornali, è presentata come il giusto atteggiamento individuale e collettivo e giustifica, ad esempio, flussi di denaro europei improvvisamente diventati disponibili? La resilienza è ovviamente l'unica reazione possibile nei confronti di impatti inevitabili, come nel caso dei cambiamenti climatici, ma ora la si presenta quasi come unico atteggiamento possibile di fronte a ogni situazione, perché? Sulle Alpi la storia ha insegnato alle popolazioni che le hanno abitate quando si deve essere "resilienti" e quando invece si deve passare alla "resistenza" (ora diventato valore negativo) e non deve stupire se quassù possono emergere riflessioni eterodosse rispetto allo "storytelling" sbandierato e di cui sarà interessante conoscere interessi ed obiettivi sottesi. Per provare a darsi risposte su questo, e non solo, consiglio la lettura di "Massa e Potere" di Elias Canetti e di riflettere sulle ipotesi di Zygmunt Bauman sulla liquidità della società attuale, dove ideologie e politiche diventano fluide e si spostano di campo in un contesto dove non ci sono più confini invalicabili. Temi che approfondirò appena l'arrivo dell'inverno mi farà rientrare in casa e avrò il tempo di mettere su carta quelli che per ora sono pensieri in libertà. Per ora, comunque, la resilienza non fa parte dei miei valori fondanti e argomenterò il perché. Una cosa fin da ora per me è sicura: se mio padre e tutti quelli che hanno deciso di "resistere" dall'8 settembre del '43 al 25 aprile del '45 avessero scelto la "resilienza", se ne sarebbero stati a casa». Tesi forti e anche provocatorie, che dimostrano però una cosa - anche per chi crede come me ad uso "buono" di Resilienza - e cioè che esiste un abuso delle parole, che può svilirle. Cito sempre l'uso improprio della nostra parola del cuore come valdostani: "Autonomia". Ma questa è altra storia...