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12 set 2022

I negazionisti

di Luciano Caveri

In premessa una frase del teologo Alberto Maggi: “Per farsi notare il negazionista deve andare contro l’evidenza, e contro la verità, e per questo suo delirio deve appoggiarsi su una visione della società vittima di ogni tipo di complotto, dal finanziario al religioso, con il continuo sospetto che si traduce in rifiuto di tutto quel che con le sue limitate capacità intellettuali non riesce a comprendere”. Leggevo sul Foglio sul tema appassionante e che si sta espandendo a dismisura il saggista Luca Mastrantonio, lui stesso con una premessa: “Premessa: in questo articolo l’aggettivo “negazionista” non è usato come insulto indiscriminato, descrive chi mantiene una posizione riguardo qualcosa in una forma di pensiero negativo, perché non afferma una verità alternativa, ma nega un fatto storico che altri riconoscono come vero. È facile riconoscere il negazionista perché il suo linguaggio è ricco di aggettivi scettici riguardo le verità storiche presentate come “cosiddette”, messe tra virgolette, derise come “sedicenti”. Ma l’uso per mia generazione - e personalmente ho battagliato spesso per questo - ha avuto in origine un uso preciso: “Se suona come un insulto è perché il termine “negazionismo” originariamente si riferisce a quanti dicono che la Shoah sarebbe una grande bugia. Alcuni lo fanno senza crederci, per una forma di rivincita di cieco sadismo: hanno subìto un torto nella vita e godono nel negare quelli subìti da altri. Altri contrabbandano antisemitismo. Non tutti i negazionisti sono antisemiti, ma è raro trovare un antisemita che non sia un po’ negazionista. Negare l’Olocausto maschera bene il desiderio di negare agli ebrei il diritto di esistere”. Una schifezza che torna con triste cadenza. E ancora nell’articolo: “Usare il termine negazionista come insulto generico è rischioso. Il negazionista, quando non è in una posizione di forza, armata o violenta, tende a fare la vittima, così sposta il piano del discorso: dalla verità che lui attacca alla libertà d’opinione messa sotto attacco”. Mai cadere in questa trappola! Poi Mastrantonio allarga il tiro: “C’è chi nega che l’uomo è andato sulla Luna, che gli attentati alle Torri gemelle sono opera di terroristi islamici, che la Terra è rotonda, che l’uomo sta accelerando il cambiamento climatico, che il Covid è una pandemia mortale, che i russi uccidono civili in Ucraina… Per alcuni, mettere questi negazionisti sullo stesso piano di chi nega la Shoah è sminuirne la memoria sacra. Di certo è un insulto al quadrato quello che hanno fatto alcuni No Vax che si sono messi delle simil-divise dei prigionieri nei lager. C’è d’altronde chi riesce a negare la Shoah e poi a paragonarsi alle sue vittime. Ovviamente, su un piano strettamente logico, tutti siamo potenzialmente negazionisti di qualcosa di cui altri sono certi. Per esempio: io agli occhi di un terrapiattista sono un negazionista, perché nego che la Terra sia piatta. Infatti, credo sia tonda. Di più, ne sono certo, me l’hanno insegnato a scuola. E posso dimostrare che è vero? Ci sono foto satellitari, documenti di chi ha circumnavigato il globo… Però – questo è il punto - non ci avevo mai pensato prima di scoprire che ci sono i terrapiattisti. Ecco. È il vantaggio dialettico che il negazionista si prende senza negoziare. Al di là di certi giochi di prestigio numerici, non sostiene una tesi portando delle prove sue, ma attacca la controparte pretendendo che lei ne produca di assolute, che comunque si riserva il diritto di rigettare. Un meccanismo simile a quello delle pseudoscienze analizzate da Karl Popper che rovesciano l’onere della prova delle loro teorie agli scienziati”. Infine la triste trasformazione: “Da almeno vent’anni il negazionismo è in crescita. Quello antisemita è radicato in alcune culture e aree del mondo, e aspetta la morte dell’ultimo sopravvissuto ai lager. Negazionismi derivati o più recenti hanno l’età dei media digitali dove proliferano, anche perché i social hanno introiettato il meccanismo binario da talk show televisivo che spettacolarizza la contrapposizione pro/contro. Si è creata una rete globale da baratto low cost, che piace anche a certi Stati: “Tu neghi lo sterminio degli Armeni, io negherò quello degli Uiguri, tu nega il diritto a esistere dell’Ucraina, io lo farò con Taiwan…”.”. Esiste ancora una tipizzazione nostra: “E in Italia? Negli ultimi due anni abbiamo visto fior di intellettuali negare in toto o in parte la mortalità dell’epidemia di Covid o i piani criminali dei russi in Ucraina. C’è il pensatore che nelle prime settimane ha scritto con la prolissa avventatezza di Facebook un libro contro la dittatura sanitaria, e l’opinionista che grida alla censura perché i giornali non pubblicano il testo in cui sostiene che i morti civili ucraini uccisi dai russi non sono morti, non sono civili, non sono ucraini perché l’Ucraina non esiste. Che lo facciano per retaggio ideologico, provocazione o tornaconto personale non importa. Se li chiamate negazionisti si indignano, vi querelano o vi sbattono in faccia la loro cultura. Il che, almeno, smentisce il luogo comune per cui il negazionismo è sinonimo di ignoranza: no, ma la sfrutta, come sfrutta la rabbia sociale, il risentimento diffuso, il senso di ingiustizia ed emarginazione di chi cede alla tentazione di dire un grande no al mondo. Per dispetto, sfiducia, nichilismo, ribellione”.