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25 set 2022

La fragilità della democrazia

di Luciano Caveri

Scorro gli editoriali sui giornali delle ultime settimane. In fondo questo è rimasto un ruolo capitale della carta stampata: commentare fatti e situazioni. La televisione in Italia non é in grado di farlo perché gli opinionisti in TV partecipano a trasmissioni urlate e senza filo logico giusto per far spettacolo. Le persone serie non ci vanno più e per altro si preferisce invitare cafoni e urlatori nella considerazione che il pubblico televisivo sia un popolo bue che ama la caciara, gli insulti e le volgarità. Per cui personalmente non seguo più i cosiddetti talk show e mi rifugio negli editoriali seri che per grazie di Dio vengono ancora pensati, scritti e pubblicati. Nello scorrere, come dicevo, quanto pubblicato di recente noto la supremazia assoluta dei commenti attorno alle odierne elezioni politiche. L’impressione che ne ricaverebbe un alieno piombato sulla Terra che dimostrasse interesse per il fenomeno, anche se capisco quanto io osi in questa costruzione fantasiosa, è che gli italiani non abbiano più un vivo interesse per la politica e per la cosa pubblica nel suo insieme. In realtà - e la Valle d’Aosta non è affatto estranea al fenomeno - mai come in questa occasione (e le urne tristemente lo dimostreranno) è esistito un evidente disinteresse se non fastidio per la politica. È un fenomeno inquietante di distrazione di massa - come ho scritto giorni fa - che si accompagna e che è alimentato da un crescente analfabetismo istituzionale. Mi sono state poste - e uso la mia esperienza supporto di questa tesi - le domande più bizzarre, anche da persone insospettabili, sulla politica e sui meccanismi democratici che dimostrano una mancanza di base di principi basilari. Una delle grandi speranze della democrazia era quella che diventasse naturale avere sempre di fronte a sé cittadini non solo partecipi ma soprattutto formati e informati nel momento in debbono esprimere quel diritto cruciale che è il diritto di voto. Invece, purtroppo e lo dico con rispetto e senza polemica, la morte dei partiti e di molte organizzazioni sociali, oltreché il disinteresse personale ad apprendere i rudimenti della democrazia, ha creato una specie di massa indeterminata che sceglie di disinteressarsi totalmente o diventa ondivaga, andando di qua e di là, perdendo punti di riferimento solidi e facendosi trascinare verso innamoramenti “politici” destinati a durare poco. Per cui l’overdose di commenti, certo apprezzati da chi si interessa e ne capisce (e per fortuna ce ne sono!), finirebbe per stupire l’alieno osservatore esterno, perché niente affatto corrispondente alla realtà “popolare”. Il da farsi, come reazione alla situazione di analfabetismo politico e istituzionale, non credo che sia semplice e viene il grave sospetto che per riconquistare cultura e consapevolezza della democrazia ci debba la messa in discussione verso certi diritti e capisaldi della democrazia stessa. Lo scrivo con inquietudine e sperando di essere smentito in un Paese, l’Italia, che ha già vissuto tempi cupi, certo non esattamente ripetibili, ma che mostrano come sia bene essere vigili. Nella speranza che a risvegliare impegno e coscienze non debbano essere attentati alla nostra democrazia, creatura fragilissima anche per l’uso poco consapevole di quella conquista capitale che fu il suffragio universale.