Non esiste di certo un rapporto causa e effetto - ci mancherebbe altro! - fra la decisione di Donald Trump di sospendere per tre mesi l'ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette Paesi musulmani (Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen) e l'orrendo attentato compiuto da un giovane universitario che ha ucciso in una moschea nella civile città di Québec. Questo diktat trumpiano, già bloccato dalla Magistratura americana e che ha innescato persino le la defenestrazione di Sally Yates, ministra della Giustizia del Governo federale, vale anche per chi avesse già ricevuto - e si sa quanto sia difficile ottenerlo - il "visto d'ingresso" negli Stati Uniti e per questo viene vissuto come un vulnus pesante e sostenere che bisogna pazientare, trattandosi di una scelta passeggera, non sminuisce la portata politica del decreto presidenziale.