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28 apr 2021

La Liberazione

di Luciano Caveri

Viviamo in uno strano mondo, dove per spiegare il perché festeggerò il 25 aprile uno deve premettere, come per giustificarsi, di essere contro ogni forma di totalitarismo. Perché se gridi «Viva il 25 aprile!» spunta un tizio che ti dice: «Ma se sei antifascista, come la mettiamo con il comunismo?». Trattasi di "benaltrismo", cioè di quando di fronte ad un anniversario scatta una logica difensiva/offensiva. Classico è lo scontro fra i campi di sterminio e le foibe, come se quando si evoca l'Olocausto ci dovesse essere, sull'altro piatto della bilancia qualcosa che facesse da contrappeso. Allora, in vista del 25 aprile, voglio dire che io festeggio la Liberazione, perché ci liberammo dai fascisti e dai nazisti e questo avvenne con il contributo di quegli antifascisti che non si piegarono al Regime o ne compresero gli errori e orrori strada facendo e anche dei partigiani che diedero vita alla Resistenza. Il benaltrista obietta. «Già, ma senza gli Alleati? E le nefandezze dei partigiani?». Inutile mettersi a discutere.

Lo stesso vale, purtroppo, per il mito del «fascismo buono» e del «Mussolini grande leader». Scemenze propagandistiche, che nulla hanno a che fare con la necessità di sapere rileggere la Storia, levando fronzoli e orpelli. Ad esempio a me infastidisce l'idea crescente che il mondo partigiano fosse solo comunista: in Valle esisteva una parte della Resistenza che affermava, in modo originale rispetto al resto d'Italia, valori autonomisti nobili e profondi, che vorrei non venissero annacquati da una eccessiva politicizzazione. Senza questa parte di mondo partigiano oggi non avremmo l'Autonomia speciale, perché furono loro - abbeverati in gran parte nel pensiero della "Jeune Vallée d'Aoste" - a spingere affinché la nostra Valle rinascesse come soggetto politico, dopo l'oscuro Ventennio fascista. Per cui domani, per capirci, io sarò a festeggiare la Liberazione. Lo sento come un dovere morale per una famiglia convintamente antifascista, che ha pagato in vario modo. Mio nonno Renato "epurato" dal fascismo come Prefetto, mia zia Eugénie punita perché non portò una sua classe al funerale di un gerarca, mio zio Mario giovanissimo partigiano, mio papà e suo fratello Émile nei campi di internamento in Germania, mio zio Séverin obbligato all'esilio in Svizzera, mai iscritto al Partito fascista, mio zio Antoine, fra i capi della Resistenza alla Cogne, morto il giorno della Liberazione di Aosta per uno sparo accidentale, mentre stava per parlare in piazza. Aggiungerei lo zio di parentela materna, il grande Ulrico, comandante partigiano di "Giustizia e Libertà". Storie diverse, ma con un unico pensiero, dettato da un'educazione familiare e da un rigore morale, fatto nel caso dei Caveri da una scelta di una famiglia di origini liguri, imparentatasi qui: essere diventati valdostani e credere in questa appartenenza anche in momenti nei quali molti "valdostanissimi" calarono le braghe di fronte alla marea fascista ed al suo declino sino a diventare strapuntini del nazismo. Domani mi ascolterò quella canzone piena di poesia, tanto da commuovermi, che è "Quel giorno di Aprile" del grande montanaro appenninico, Francesco Guccini: «Il cannone è una sagoma nera contro il cielo cobalto Ed il gallo passeggia impettito dentro il nostro cortile Se la guerra è finita perché ti si annebbia di pianto Questo giorno di aprile Ma il paese è in festa e saluta i soldati tornati Mentre mandrie di nuvole pigre dormono sul campanile Ed ognuno ritorna alla vita come i fiori nei prati Come il vento di aprile E la Russia è una favola bianca che conosci a memoria E che sogni ogni notte stringendo la sua lettera breve Le cicogne sospese nell'aria, il suo viso bagnato di neve E l'Italia cantando ormai libera allaga le strade Sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce E tua madre prendendoti in braccio, piangendo sorride Mentre attorno qualcuno una storia o una vita ricuce E chissà se hai addosso un cappotto o se dormi in un caldo fienile Sotto il glicine tuo padre lo aspetti Con il sole d'aprile E' domenica e in bici con lui hai più anni e respiri l'odore Delle sue sigarette e del fiume che morde il pontile Si dipinge d'azzurro o di fumo ogni vago timore In un giorno di aprile Ma nei suoi sogni continua la guerra e lui scivola ancora Sull'immensa pianura e rivede in quell'attimo breve Le cicogne sospese nell'aria, i compagni coperti di neve E l'Italia è una donna che balla sui tetti di Roma Nell'amara dolcezza dei film dove cantan la vita Ed un papa si affaccia e accarezza i bambini e la luna Mentre l'anima dorme davanti a una scatola vuota Suona ancora per tutti campana e non stai su nessun campanile Perché dentro di noi troppo in fretta ci allontana Quel giorno di aprile».