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16 mag 2021

La discussione sulla legge Zan

di Luciano Caveri

In piena pandemia ci si divide in modo assai violento sulla famosa proposta di legge Zan, dal cognome del deputato Alessandro Zan un politico e attivista "LGBT" (acronimo italiano di: Lesbica, Gay, Bisessuale e Transgender), che ha come scopo, secondo i promotori, ad "aggiornare" la legge Mancino contro i reati di razzismo, estendendo le pene anche a chi istiga alla violenza omofobica. Una premessa è d'obbligo: personalmente non ho mai coltivato alcun pregiudizio verso qualunque orientamento sessuale, che sia nella logica di tutela di diritti civili. Questo non significa affatto non valutare il contenuto delle norme in discussione, accettando la logica rozza "nemico/amico" che distrugge ogni dialettica democratica su temi che non inseriscono solo il codice penale ma la convivenza civile.

Ha scritto su "La Repubblica" il costituzionalista Michele Ainis su questo punto: «Legge sull'omofobia, l'ultima trincea di guerra. Ma è possibile prendere partito senza intrupparsi negli schieramenti di partito? Si può ragionarne laicamente, mentre destra e sinistra si fronteggiano in due blocchi compatti? Perché è questo che è avvenuto: la militarizzazione del dibattito. Peraltro nemmeno un gran dibattito, nulla di simile al confronto d'opinioni sul divorzio, sull'aborto, sulle unioni civili, sulla fecondazione assistita. Quando i partiti lasciavano libertà di coscienza ai propri eletti, sicché i fronti si mescolavano, si contaminavano a vicenda. Adesso, viceversa, nessuna libertà, ammesso che sopravviva la coscienza. E in Parlamento è muro contro muro: l'anno scorso Lega e Fratelli d'Italia hanno depositato più di ottocento emendamenti, ora l'ostruzionismo continua fra schermaglie procedurali e progetti alternativi al disegno di legge Zan». Brutta storia, che ho vissuto molte volte, quella di dialoghi fra sordi con politici ancorati alla propria tifoseria con logiche di chiusura alla ricerca di mediazioni nobili perché inzuppati nelle rispettive ideologie. Aggiunge Ainis: «Eppure avremmo avuto tutto il tempo di rifletterci senza pregiudizi, dato che il primo testo venne presentato da Nichi Vendola nel 1996, un quarto di secolo fa. E la riflessione chiama in causa i due valori fondanti della democrazia: libertà d'espressione e tutela delle minoranze. Giacché la legge in questione intende offrire una speciale protezione contro l'hate speech, le parole d'odio basate sull'orientamento sessuale. Per arginarle, per incriminarle, introduce un reato e una specifica aggravante. Da qui tutto il sale della legge, come ha dichiarato Alessandro Zan al "Corriere della Sera": in futuro nessuno potrà dire che i gay devono essere bruciati nei forni. E perché, adesso si può dire? L'istigazione a delinquere è già un reato, punito dall'articolo 414 del codice penale con la reclusione fino a cinque anni; e infatti il consigliere regionale della Lega che nel 2016 avrebbe pronunziato quella frase è stato denunciato. Del resto pure l'aggravante figura già nel nostro ordinamento: si chiama circostanza aggravante per motivi abietti o futili, e a norma dell'articolo 61 del codice penale comporta l'aumento fino a un terzo della pena». Questo è un punto importante: esistono già ampi strumenti giuridici nelle mani dei magistrati e dunque molti elementi di drammatizzazione in questa fase appaiono strumentali. Ancora Ainis: «Qual è allora il "di più" di questa legge? Una tecnica normativa che rifugge dalle clausole generali, confezionando regole minute e puntute come spilli. Anziché dire "è vietato insultare il prossimo", si preferisce elencare gli insultati - i neri, gli ebrei, e poi i gay, i trans, le donne, i disabili. Anche a costo di gonfiare a dismisura il diritto penale, come se 35mila fattispecie di reato - già in vigore per gli accidenti più svariati - in Italia non fossero abbastanza. Tuttavia su quest'aspetto non c'è troppa differenza fra il ddl Zan e i disegni di legge proposti dalla destra. Anzi: quest'ultima rivendica un aumento perfino maggiore delle pene, in caso di discriminazione e di violenza. La differenza sta piuttosto nell'intenzione, nello scopo. La destra si muove in una logica puramente repressiva; per la sinistra la nuova disciplina avrà invece una funzione pedagogica. Come traspare fin dal primo articolo del ddl Zan, con il diritto all'affettività verso ogni sesso, con l'enunciazione dell'identità di genere come "identificazione percepita" della propria sessualità. E come dimostra l'istituzione di una Giornata nazionale contro l'omofobia, oltre che di programmi informativi nelle scuole». Fatemi aggiungere un passaggio prima di proseguire. Ho letto l'intervista di Simone Nigrisoli ad Aurelio Mancuso, un valdostano che da tempo vive a Roma con posizioni politiche di rilievo e sempre dimostrando grande acume nella tutela dei diritti della comunità gay. Così dice: «Quel che rimprovero di più a Zan, ma più in generale ai gruppi dirigenti del centro sinistra, è di aver scritto un articolato che nei provvedimenti concreti è ottimo, dalle aggravanti penali agli interventi formativi nelle scuole, e di averlo voluto però infarcire di affermazioni in premessa, (l'articolo 1 in particolare), di visioni discutibili, nel senso di non unitarie, che producono divisioni e si inseriscono in un progetto politico internazionale che sta causando enormi conflitti negli USA, in UK, in Spagna, eccetera». Su questo riprendo Ainis: «Però, attenzione: talvolta il pedagogista danneggia i propri allievi. Ne è prova il sondaggio realizzato da varie associazioni femministe e diffuso dalla Stampa, dove il 66 per cento s'oppone al self-id, la libera autocertificazione del proprio genere sessuale. Non è forse la cancellazione del femminile, dopo decenni di lotte per difenderne la specificità? E infatti in Gran Bretagna l'identità di genere è finita nel cestino dei rifiuti. Ma anche i gay e le lesbiche potrebbero rimetterci, alla fine della giostra. Perché ogni misura di speciale protezione verso questa o quella minoranza rischia d'abbassarne l'autostima, alimentandone il senso d'inferiorità sociale. "Non avevo mai fatto caso alla mia pelle finché non sono stato ammesso al college in quanto nero, grazie a un piano di affirmative action", disse uno studente dell'università di Berkeley. E' il coltello del pedagogista: un'arma a doppio taglio». E' bene ragionarci e bisogna farlo con la pacatezza necessaria e senza che il filogrillino Fedez, il cui impatto via "social" è materia per i sociologi, si ritrovi nei panni improbabili di un leader politico.