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22 mag 2021

I tuoi interrogativi

di Luciano Caveri

L'identità è una strana storia. Ci pensavo leggendo un libro che racconta dei pianeti del nostro sistema solare con la certezza che di alieni lì non ce ne possono stare perché inospitali. Mentre la Terra, almeno per la nostra specie, resta il meglio, pur con equilibri strani che ci consentono la vita, malgré nous ed almeno per ora. Per l'ennesima volta letture di questo genere, che raccontano a loro volta di entità ancora più grandi, fatte di galassie, di stelle, di buchi neri e tutte le altre stranezze, mi fanno sprofondare in quegli interrogativi antichi quanto l'uomo nella banale sequenza «chi siamo?» e «dove andiamo?». Quando studiavo filosofia al Liceo, con un mio compagno di banco, fondammo una sorta di teoria onnicomprensiva su questi temi tosti, che ci venne smontata dal sagace professore che ci spiegò passaggio per passaggio che questa nostra metafisica non era altro che un puzzle mal assortito di pezzi già visti da altri autori di cui eravamo indegni. Anche lo studio delle religioni, con cui mi sono esercitato, mi hanno portato ad un discreto misticismo, ma senza risposte certe.

E allora mi sono accontentato, allora come oggi, di guardare a quel che sono nella banalità da una parte della genetica (mamma, papà, nonni e laddove rinvenibili anche avi) e dall'altra della costruzione culturale di cui sono frutto (famiglia, studi, amici, ambiente, esperienze). Un elenco sommario che certo non risolve il problema finale, ma almeno tratteggia il contenuto del cocktail che io sono. Il grado di introspezione e la sua qualità scricchiolano sempre, perché persiste sempre nella conoscenza di sé un marea di cose non comprese e forse non dette. In mezzo a queste incertezze cosmiche, che generano invidia in chi invece di granitiche certezze almeno all'apparenza, resta per me questa idea per nulla originale dei cerchi concentrici, con cui ogni tanto descrivo il federalismo, che trovo più suggestive di chi lo descrive usando la torta multistrato. Così mi trovo al centro di questa gigantesca piazza in cui attorno a me ci sono le persone care, poi la comunità dove vivo, che si estende alla collettività regionale cui appartengo. Ci tengo moltissimo - e non solo in termini politici - alla mia valdostanità, che si allarga all'area geografica alpina cui appartengo, che è multinazionale. Vi è poi l'Italia con certe mie radici e quell'Europa che considero componente fondamentale, ma l'appartenenza al mondo della montagna mi trasferisce negli altri Continenti. Vi è infine la chance che mi dà la francofonia come appartenenza e ci sono i libri che sono un ulteriore territorio che mi arricchisce. Questo bagaglio che ho sulle mie spalle diventa la mia moneta di scambio quando conosco qualcuno di persona o sui "social". I viaggi più di molto altro sono quelli in cui sbocciano la comparazione ed il confronto con dolcezze e amarezze perché non tutto nella vita è a tinte rosee. Così si avanza perdendo pezzi e aggiungendo pezzi, con spinte passionali e arretramenti bruschi, in un saliscendi che è l'esatto antidoto alla monotonia, che non mi appartiene. Sembriamo tutti, in fondo, come il vestito di Arlecchino con pregi e difetti e contraddizioni che ci rendono vivi, passando dal caldo al freddo di emozioni e sentimenti che saltellano dentro di noi. Il gioco di pazienza, smonta e rimonta, non sempre ti aiuta a capire sino in fondo te stesso. Gli stessi giudizi degli altri non offrono conforto. Ognuno ti vede come vuole lui, non come sei tu. Ed in fondo a questo esercizio forse inutile resti, sconcertato, con i tuoi interrogativi.