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06 lug 2021

Rimboccarsi le maniche

di Luciano Caveri

«Essere, o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell'oltraggiosa fortuna o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire...». Si potrebbe citare, prendendosi sul serio o facendone una parodia, il celebre monologo di William Shakespeare in "Amleto" nel quale si spiega il motivo per cui l'essere umano non decide di togliersi la vita per la paura di trovare qualcosa di peggiore dopo la morte e per questo si sopportano le situazioni peggiori, pur soffrendo. Questa sembra ormai la descrizione della politica che nelle democrazie stenta a trovare equilibri e maggioranze stabili per governare con attese, tensioni, incertezze che logorano la credibilità delle Istituzioni e banalmente non sempre risolve con la rapidità e con l'efficacia necessarie i problemi concreti. Capita nella piccola Valle d'Aosta, come avviene in Italia e in molti altri Paesi.

Ognuno sulle ragioni di queste situazioni di impasse e di svilimento può avere le sue spiegazioni. Può essere banalmente la mediocrità delle leggi elettorali che impediscono maggioranze stabili o l'allontanamento dalla politica di chi ne avrebbe le capacità a vantaggio di mediocri che pensano più ai fatti propri che al bene della comunità. Oppure la crisi è insita nell'obsolescenza della democrazia parlamentare o anche nella incapacità dei partiti di rappresentare la società perché non ne comprendono più le necessità. Oppure la colpa è degli elettori, che cambiano capricciosamente il loro voto, inseguendo l'ultimo venuto o le illusioni che propone. Potrei continuare l'elenco e nella discussione ognuno potrebbe aggiungere un pezzo a completamento. Mi allontano però da questi massimi sistemi, anche se mi appassionano perché credo nella democrazia rappresentativa e sono convinto che ci siano gli strumenti per ridarle smalto, per scendere più terra a terra. Io non so se esiste una coscienza generale di quanto stiamo vivendo e di come la pandemia abbia reso tutto più difficile non solo in termini personali, che è evidente per ciascuno di noi, ma di come il virus e le sue molteplici conseguenze stiano minando gravemente l'economia, la società, oltreché rendendo fragili le certezze e le speranze che sono le fondamenta su cui costruire qualunque futuro. Pensavo che questa situazione avrebbe agito come una potente molla per guardare avanti, per profittare di quella spinta vitale così umana per uscire da situazioni difficili e non vorrei che questo venisse vanificato dalla mancanza di senso di responsabilità. Esiste un interesse superiore che deve necessariamente sospendere ogni divisione o lite su questioni secondarie e non urgenti. Concentrare energie e sforzi in una ricostruzione materiale e morale in un clima di incertezze che deriva in primis dalle legittime paure che la pandemia possa trascinarsi ancora per un certo periodo e non scomparire in questa estate di ritrovate libertà. Ho accumulato abbastanza esperienze in politica per guardare attonito al rischio che nel momento in cui non bisogna perdere tempo e costruire progetti e idee per l'avvenire ci si impantani in riti obsoleti di incontri e consultazioni con vecchie logiche di mediazione su lunghi elenchi di cose da fare, spesso solo per piantare bandierine e far piacere ai propri fans. Sarebbe un comportamento irragionevole è pericoloso. L'invito a rimboccarsi le maniche e ad agire sulle necessità più immediate non è una furberia ma semplice buonsenso.