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21 mag 2022

La vita che si vive

di Luciano Caveri

Quanto inchiostro è stato speso nel tempo sulla vita. A me piace una definizione semplice di Oriana Fallaci: «La Vita non è uno spettacolo muto o in bianco e nero. E' un arcobaleno inesauribile di colori, un concerto interminabile di rumori, un caos fantasmagorico di voci e di volti, di creature le cui azioni si intrecciano o si sovrappongono per tessere la catena di eventi che determinano il nostro personale destino». Già, il destino, che contiene quell'imponderabilità che attraversa tutte le esistenze, mettendoci di fronte a bivi improvvisi, che possono aprirci strade nuove o chiudere anche la nostra avventura. Ci pensavo, perché ho telefonato in queste ore ad un amico che ha visto - anche se l'espressione è un po' forte - la morte in faccia. Non lo avevo disturbato, sapendolo convalescente.

Ma ieri un'intervista al "Corriere" del collega Enrico Marcoz mi ha spinto a chiamarlo, essendo il segno che stava uscendo dal periodo più delicato. Questo l'inizio dell'articolo: «E' rimasto per due ore bloccato in una stretta gola di ghiaccio, immerso nell'acqua di un torrente che lo ha letteralmente congelato, portandogli la temperatura a 20 gradi. Un passo dalla morte. Gianni Odisio, 60 anni, commercialista di Aosta, è salvo per miracolo. Grazie alla sua tempra e al coraggio dei soccorritori. E' accaduto il primo maggio sul versante svizzero del Cervino». Un racconto sintetico, che dà proprio il senso di quanto sia sottile il passaggio fra il solito tran tran e un evento che ti squassa d'improvviso. Racconta Odisio: «Ero a sciare con il mio amico Vittorio Ferrero, medico di Torino. Sono uno sciatore esperto, ho fatto gare nazionali, sono anche istruttore militare. Era da tre anni che non riuscivamo a fare fuoripista e quella domenica le condizioni erano eccezionali. Ne abbiamo approfittato per chiudere la stagione. Era uno spettacolo passare con gli sci proprio sotto il Cervino». Una giornata simile a quelle che molti di noi hanno vissuto e sulla quale in un momento - per chissà quali elementi, che ciascuno legge a modo suo a seconda dei propri convincimenti - ecco il Fato o solo una scelta sbagliata che incombe: «Verso la fine del nostro tour, all'incirca alle 9.30, eravamo diretti a valle e dovevamo rientrare in una pista, la 69 di Zermatt, che in quei giorni era già chiusa. Per farlo bisogna passare da uno stretto canalino in mezzo al quale c'è un torrente, che era semicoperto dalla neve. Più o meno a 2.500 metri di quota. Stavo scendendo per primo, c'erano delle tracce. Ho fatto una curva a destra e all'improvviso si è rotta la "crosta" sopra al torrente e ci sono finito dentro. La corrente mi ha trascinato per alcune decine di metri dentro questa gola buia, sotto avevo il letto del torrente e sopra la neve. Non ricordo più nulla». Poi, come angeli salvatori, arrivano gli uomini di "Air Zermatt", soccorritori di grande esperienza e che agiscono nelle zone di confine in accordo con gli uomini del Soccorso alpino valdostano. Ancora Odisio intervistato da Marcoz: «Hanno sondato la neve a lungo per cercarmi nel torrente. Poi, hanno fatto un buco con le motoseghe. Sono stati allertati i sommozzatori, ma erano a 50 chilometri di distanza, non sarebbero mai arrivati in tempo. Ero nell'acqua già da due ore. Una guida alpina di Zermatt - un eroe - ha deciso di agire. Seppure senza un'attrezzatura adatta, si è infilato in quel buco nel ghiaccio, è scivolato nel torrente ed è venuto a cercarmi sotto la crosta di neve. Muovendosi a tentoni, al buio, con la mano ha sentito un mio piede, è riuscito ad imbragarmi e mi hanno tirato fuori. Hanno misurato la mia temperatura corporea, che era di 20 gradi. Al limite della sopravvivenza, anzi forse un po' oltre. Secondo i medici sotto i 26 gradi il cuore smette di battere. Mi hanno intubato e caricato in elicottero. Hanno deciso di portarmi a Berna dove c'è un reparto specializzato in casi di grave ipotermia. Dopo circa 20 minuti di volo ero nella capitale elvetica. Appena arrivato la temperatura era già salita a 26,5 gradi. Mi hanno attaccato a una macchina che mi prelevava sangue, lo scaldava e lo rimetteva in circolazione. Ero in rianimazione. Mi hanno messo in coma farmacologico e poi piano piano sono stato risvegliato. Dopo cinque giorni, su mia richiesta, sono stato dimesso e sono andato a casa». La montagna ha una sua sempre presente componente di rischio, cui non ci si può sottrarre, ma è vero che certi eventi possono avvenire in situazioni molto normali e mostrano un'assoluta banalità espressa con maestria da Luigi Pirandello: «La vita non si spiega; si vive».