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27 lug 2022

Politica indifendibile

di Luciano Caveri

Confesso le mie colpe. Quando divenni un giovane deputato, peccavo di una qual certa vanità - spero peccato veniale! - quando mi capitava di dovermi presentare in qualunque occasione fosse. Ero abbastanza vanaglorioso quando dicevo: «Sono deputato!». Non che all'epoca - parlo del 1987 - i politici fossero popolarissimi, tuttavia in genere, forse perché ero un pischello spesso sorridente, questa mia presentazione non sortiva particolari polemiche. Poi piano piano nei decenni successivi, facendo varie cose in ambito politico nel triangolo Roma-Aosta-Bruxelles, il vento è cambiato e vicende come "Tangentopoli", cavalcate dalla Lega versione rozza e soprattutto la marea montante contro la "Casta", specie con la volgarità del "grillismo" che voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno (sic!), hanno fatto sì che la figura del politico diventasse una bestia nera senza appello o distinguo.

Me ne accorgevo dall'interno, quando cioè ricoprivo cariche pubbliche, ed ancor di più nel periodo dei sette anni in cui non ho avuto incarichi elettivi. Era facile constatare la gogna popolare contro tutti, senza troppe distinzioni. Un «j'accuse» generalizzato alimentato dalla demagogia e dal disprezzo spinto fino all'odio estremo. Cercavo talvolta di spiegare le ragioni che mi portavano a considerare ingiusta e persino personalmente offensiva ogni forma di generalizzazione. Una difesa che mi sembrava di buonsenso non tanto a difesa dei singoli, quanto a caposaldo dei principi della democrazia elettiva contro i rischi di autoritarismo, che pure in Italia tornano di tanto in tanto per via della fragilità delle Istituzioni. Poi capitano giornate come quella di ieri con la discussione in Senato precipitata, in molti interventi, a livelli di qualità infima e ti domandi come diavolo si possa difendere quella parte di classe politica priva di sostanza anzitutto culturale, imbevuta di qualunquismo e priva di uno straccio di senso di responsabilità. Ovvio che di fronte a certe prodezze della peggior specie, che hanno squassato il quadro politico e scardinato una personalità come Mario Draghi, buttato nella polvere senza alcun rispetto, non si può che avere una forma di rigetto e di rifiuto per una politica squallida e volgare. Acqua al mulino di chi cerca oggi di arrampicarsi verso le stanze del potere facendo leva sui peggiori sentimenti e usando la pancia e non il cervello. Chi ha conosciuto grandi politici del passato - ed io ho avuto questo onore - senza mai nasconderne limiti e vizi non può che constatare questa involuzione profonda, che allontana i cittadini dalle urne e fa salire l'astio e il ribrezzo, che alla fine non si capisce bene dove saranno canalizzati. Certo, come dicevo, l'astensionismo resterà e diventerà ancor più il primo partito e le ali estreme, che dovrebbero essere tagliate in una democrazia, si sentono già ora vincenti, anche se non faranno altro che peggiorare la situazione. Il mio proverbiale ottimismo si infrange contro la violenza verbale, la pochezza di contenuti, la brutalità di fronte ad una necessità di mediazione politica che diventa impossibile e le elezioni anticipate faranno uscire il peggio del peggio, rendendo lo scenario d'insieme ancora più deprimente. Il bagaglio di valori e di idee sembra non bastare più e ci si sente incredibilmente sconfitti, dopo una vita vissuta nella speranza che i peggiori, i cattivi, gli incapaci fossero infine - dovunque militassero - destinati ad essere sconfitti e isolati. Si può ancora sperare che così possa essere?