October 2010

Con l'approssimarsi dell'anniversario

Una casa sventrata dall'alluvione del 2000Per parecchi giorni, con l'approssimarsi del decennale vero e proprio dell'alluvione, si moltiplicheranno le occasioni di ricordo dei fatti del 2000. Io stesso ho collaborato con Sonia Charles per la realizzazione del film-documentario (in onda su "RaiVdA" il 18 e il 19 ottobre) che la "Rai" ha realizzato in accordo con la Regione e che verrà proiettato per la prima volta durante la cerimonia ufficiale del 15 ottobre.
Questo mi ha obbligato a riflettere e a ricordare, avendo vissuto all'epoca - come deputato - l'orrore e le violenze dell'inondazione e poi la faticosa ricerca dei finanziamenti attraverso ordinanze e decreti legge. Ma in realtà questa volta la sfera è stata intima e assieme vista da una visuale diversa.
La sfera intima sta nella ricerca dieci anni dopo (sarà così per radio anche nel "Caleidoscopio" del 12 ottobre) di elementi più intimistici sul filo della memoria. E, dall'altra, l'aspetto più fattuale, cioè i lavori fatti e la pianificazione territoriale stabilita, sapendo che oggi più di allora certe sciagure si inquadrano in un dibattito mondiale sui cambiamenti climatici, che impattano su zone montane già soggette nei millenni alle modificazioni e alla rudezza della Natura.
Non dimenticare non è solo un dovere per i drammi consumati, ma perché la vigilanza non è per nulla banale.

Gli "Anni di piombo"

Giuseppe Memeo, a Milano, nel maggio del 1977, punta la pistola contro la poliziaIo li ricordo gli "Anni di piombo", che ho attraversato da bambino sino ai miei vent'anni: espressioni come «opposti estremismi» (nella galassia di sigle all'estrema destra e all'estrema sinistra) o come «strategia della tensione» (la teoria di uno stragismo di Stato) fanno parte del mio bagaglio politico.
"piazza Fontana", "piazza della Loggia", "Italicus", "stazione di Bologna", "via Fani": basta evocare questi nomi per accendere un ricordo delle notizie per radio ed in televisione, della lettura giovanile dei giornali e della frequentazione di amici che nelle grandi città partecipavano ai "movimenti", specie nella seconda metà degli anni Settanta. Ricordo le discussioni su rischi di golpe, le trame internazionali, i pericoli di un extraparlamentarismo contrapposto che era una porta aperta verso la follia della lotta armata. Con orrore non si può non pensare ai cinquemila attentati che insanguinarono come una ragnatela tutta l'Italia, uccidendo in modo cieco. Come un fiume carsico, certe vicende tornano e sembrano fantasmi.
Ci pensavo rispetto all'episodio di possibile matrice terroristica contro il giornalista Maurizio Belpietro che sembra preludere, come mostrato da tanti altri segnali, a un ritorno di una nuova stagione di violenza di cui è difficile disegnare i contorni. Vorrei che i miei figli non dovessero vivere quel senso di disagio che in certi anni ti prendeva in una piazza, in una stazione, in un aeroporto, sapendo che già il terrorismo islamico è diventato un tratto distintivo delle nostre paure odierne e non c'era nessun bisogno di tornare ad aspetti angoscianti e talvolta ancora misteriosi della storia italiana.

La Chiesa locale che cambia

i due campanili della Cattedrale di AostaIn occasione della mia prima comunione nella primavera del 1966, incontrai penso per la prima e unica volta, con viva preoccupazione perché ci avevano detto che avrebbe potuto farci delle domande, l'allora Vescovo di Aosta monsignor Maturino Blanchet, che concluse nell'ottobre del 1968 il lungo periodo di responsabilità sulla nostra diocesi, iniziato nel 1946.
Gli successe - e lo conobbi bene - monsignor Ovidio Lari che fu Vescovo di Aosta dal 1968 al dicembre del 1994. Commentando la scelta di un "non valdostano", dopo quel Blanchet con cui le battaglie politiche erano state al calor bianco, mi dicono che mio zio Séverin Caveri commentò con sarcasmo: «visto che viene da un paese vicino a Volterra, speriamo almeno che sia di origine etrusca...».
Lo seguì l'attuale Vescovo monsignor Giuseppe Anfossi, nato in provincia di Bolzano ma in realtà piemontese, che ho conosciuto ancora meglio del suo predecessore e che, anch'egli per raggiunti limiti d'età, dovrà lasciare in un futuro non molto distante la diocesi di Aosta e certo sono già state avviate, nel tradizionale riserbo, quelle consultazioni locali e le procedure formali che porteranno all'individuazione del nuovo Vescovo.
Trovo assai interessante che proprio in occasione dell'ultima celebrazione di San Grato, meno di un mese fa, il Vescovo Anfossi - la cui formazione di sociologia e psicologia imbeve i suoi scritti - abbia pubblicato "Dieci anni di visita pastorale. La mia riflessione sulla diocesi dopo un incontro privilegiato".
E' un panorama realistico dello stato della Chiesa locale, dall'invecchiamento alla riduzione dei fedeli, della crisi della famiglia tradizionale al fenomeno dell'immigrazione, dai problemi della comunicazione alla gestione dei beni. Si avverte nella lettura la complessità e la rapidità dei cambiamenti.

Niente mela per Adamo

Le classiche mele rosseHo a fianco a casa un moderno meleto. Durante l'anno gli getto di tanto in tanto uno sguardo e poi in questo periodo, raggiunto il culmine nella maturazione dei frutti di diversa varietà, aspetto la raccolta, che è già avvenuta. Conosco poi alcuni meli vecchi, solitari e "vissuti", che fruttano in maniera più capricciosa.
La mela, specie la renetta per cui ho già scritto un'ode, è un frutto che amo e che mi piaceva pensare, per così dire primordiale, vista la storia nella "Genesi" di Adamo ed Eva e del frutto proibito.
Senonché, tempo fa, in un libro sui "falsi" scopro che la storia della mela è una balla.
Spiega tale Catherine Salles: "D'où vient la pomme? En effet, le latin possède deux mots similaires, mais de sens très différent: malum, la pomme, et malum, le mal. Pour celui qui lit la version latine de la Genèse, il peut donc y avoir confusion entre le "mal" et la "pomme", et c'est ainsi que, par l'intermédiaire d'un traducteur ignorant ou facétieux, l'arbre de la connaissance du mal et du bien est devenu un pommier!".
E' chiaro l'errore? Basta poco per sbagliarsi e per sgonfiare tristemente un caposaldo delle proprie convinzioni, il che non ci impedisce di mangiarci una buona mela!

Leggere ma non scrivere

Vorrei parlare di questo mio sito.
Non sbandiero i numeri del successo: sappiate solo che il numero degli accessi è notevole e crescente. Sono contento che ciò avvenga, perché è un decennio che ho scelto la Rete come strumento interattivo di comunicazione politica. Pur avendo ben presente l'ammonimento di Luc Fayard: "Interactif: tout ce qui vous empêche de communiquer avec vos proches, parce que vous passez des heures sur un PC à surfer sur internet ou à jouer en réseau".

Volare

Il Monte Bianco fotografato dall'aereoHo già raccontato di come "Banko", cioè la rotta aerea attraverso il Monte Bianco, sia una delle più affollate in Europa, erede del volo a vista di epoca pionieristica, quando il Bianco era un punto di riferimento ben visibile per gli aviatori. E vi assicuro che ancora oggi lo si vede bene da distante e ogni volta che ci passo sopra cerco, con tutti i miei limiti, di fotografarlo!
Quando vado e vengo da Bruxelles, in caso di bel tempo, mi metto vicino al finestrino e scruto le rotte, cercando di distinguere il percorso e, se non è la rotta del Bianco, si passa per altre aerovie, percorrendo queste affascinanti strade tracciate nel cielo, talvolta nei pressi del Cervino e del Monte Rosa o del Gran Paradiso. D'altra parte per fare la prova del nove, è sufficiente scrutare il cielo in una giornata di tempo sereno e dal basso gli aerei li vedrete, eccome.
Forse la novità sta nel fatto che mentre in passato queste immagini dall'alto erano patrimonio di pochi, oggi le tecnologie satellitari e certi sistemi, come il famoso "Google Earth", consentono di "volare". Non sarà come il volo aereo o in elicottero ma qualche cosa ti viene trasmesso, anche nel virtuale, della spettacolarità dell'originale.

I tratti distintivi

Manifestazione del dopoguerra da parte dei valdostani (dal sito unionvaldotaine.org)La riconoscibilità di una forza politica sta nella sua originalità. Un partito esiste se il suo spazio non è già occupato da altri o rischia di esserlo. Non è un fatto astrattamente ideologico, ma assai concreto e riguarda la spina dorsale di un competitor in politica: la forza del messaggio e la sua eco presso i cittadini.
Questo è quello che mi sento di dire, pensando ai sessantacinque anni dell'Union Valdôtaine di recente scoccati. Scorrete i nomi dei fondatori e vedrete che alcuni sono morti unionisti, altri no perché hanno scelto di passare, subito dopo la fondazione o più tardi, ad altri partiti, comprese formazioni assai distanti fra loro come DC (Democrazia cristiana) e PCI (Partito comunista).
In epoca di "guerra fredda" e di rapida espansione della partitocrazia italiana restare coerenti non è stato per nulla banale.
Così chi è rimasto sulle sue posizioni ha salvato l'Union, scegliendo nei decenni alleanze utili per governare o per marcare il proprio ruolo, che può restare centrale in Valle a condizione di essere sempre attuale, di apparire attrattiva per le generazioni che si susseguono nel tempo e di far corrispondere idee e realtà. Non sempre è facile e solo la certezza che la coerenza paga fa desistere dalla voglia, talora ben presente, di sbattere la porta, ma sarebbero un favore e un errore.
La dignità, la certezza del proprio ruolo, la specificità di una posizione "giustificano" la presenza di un partito valdostano storico, altrimenti destinato a svaporare se i tratti peculiari si appannassero e se venisse meno la cosa più preziosa: la sicurezza nelle proprie capacità. Caratteristica che non consente di delegare ad altri la salvaguardia dei propri diritti, pena la svendita di un patrimonio antico, distillato nell'atto di fondazione del 1945.

L'oleodotto sotto il traforo

La trivella monstre che scaverà la galleria di sicurezzaSe penso a quante tribolazioni ci sono state per il tunnel di sicurezza del traforo del Gran San Bernardo, con i vallesani spettatori attoniti degli "stop and go" romani, non posso che essere lieto dell'apertura del cantiere. Quel "tubo" aggiuntivo consente di offrire al traforo quelle garanzie di sicurezza sancite dalla normativa comunitaria a seguito del luttuoso rogo del tunnel del Monte Bianco. Ma soprattutto risolve un tema per nulla banale: quello della messa in sicurezza reale dell'oleodotto che passa sotto l'asse stradale.
Su questo ha scritto il dottor Martin Kuder in uno studio sulle relazioni economiche fra Italia e Svizzera: "gli stretti rapporti economici esistenti fra ambienti economico-finanziari dei due Paesi dopo il 1945 si tradussero anche nella realizzazione di importanti opere infrastrutturali di collegamento fra Svizzera e Italia. La Fiat fu fra i promotori e i finanziatori della galleria stradale del Gran San Bernardo, inaugurata nel 1964, tra il Canton Vallese e la Valle d'Aosta. Tale opera venne realizzata anche in reazione al progetto italo-francese de tunnel del Monte Bianco; si temeva infatti che quest'ultimo avrebbe favorito l'aggiramento del territorio elvetico da parte delle correnti di traffico fra l'Italia e l'Europa centro-settentrionale. Dalla galleria del Gran San Bernardo venne fatto passare anche l'oleodotto fra Genova e Collombey. Questa pipeline, promossa congiuntamente dall'Eni e dalla Société Financière Italo-Suisse, rappresentò il fulcro dell'ambiziosa strategia avviata alla fine degli anni 1950-60 da Enrico Mattei, presidente dell'Eni, per intaccare il predominio delle grandi compagnie petrolifere angloamericane sui mercati europei".
In realtà né il traforo né l'oleodotto diedero i frutti sperati dagli ideatori, tuttavia il connubio ha creato profonde riflessioni sulla sicurezza, pur sapendo che delle due condotte esistenti una è ormai fuori servizio ed è ormai securizzata, mentre la più recente - che risale alla seconda metà degli anni Novanta - è in servizio ed è costantemente oggetto di manutenzione e di controllo. Ora, finalmente, si sposterà dal tunnel stradale al tunnel di sicurezza ed è una delle ragioni della costruzione in corso.

Qui Bruxelles

Io agli Open days a Bruxelles insieme a Renato Willien della RaiQui Bruxelles: per tre giorni si va avanti indietro per gli "Open Days", scarpinando fra i diversi palazzi istituzionali all'inseguimento di incontri e seminari, in contemporanea con la plenaria del "Comitato delle Regioni". Il caos è tale, essendoci anche altri incontri internazionali, che la capitale belga non ce la fa più a reggere e persino i telefoni portatili sono in tilt per il carico eccessivo!
Con le responsabilità di Capo della delegazione italiana sono aumentati gli impegni e la cosa non mi dispiace, perché tutto serve per tenersi aggiornati e la ginnastica intellettuale è salutare e lo scenario europeo offre temi complessi e stimolanti.
E' un mondo in movimento quello del regionalismo europeo, fatto di 244 Regioni "amministrative" nei ventisette Paesi dell'Unione. Anche se "Regione" vuol dir tutto e niente, perché ogni Paese ha un suo assetto istituzionale, che dipende dalle tradizioni, dalla taglia geografica, dal rapporto centro-sistema autonomistico.
E' un'"altra Europa" di cui, come valdostani, non possiamo che essere contenti e partecipi. Confrontarsi, imparare, conoscersi: questa è una chiave sinceramente europeista per aprirsi all'Unione. Il federalismo è anche non star chiusi nei propri confini e simpatizzare con gli altri cittadini europei.

Davide, Golia e la vittoria di Pirro

Un momento della riunione del Comitato delle RegioniE' una storia tutta europea, difficile da raccontare, ma che - senza entrare troppo nei dettagli - risulta istruttiva dell'impiego di una narrazione biblica "Davide contro Golia" e dell'espressione "vittoria di Pirro"
In breve: il "Trattato di Lisbona" fissa un "tetto" al "Comitato delle Regioni" in 350 membri, valido anche con i prossimi allargamenti. Questo comporta, intanto, un ricalcolo, basato soprattutto ma non solo sulla demografia, che dovrebbe portare dal 2015 a ridurre o ad aumentare le delegazioni rispetto ai numeri attuali.
I cinque Paesi più grandi (Germania, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Italia) hanno dimostrato generosità facendo una proposta con emendamenti che ho firmato anch'io a vantaggio dei Paesi piccoli e medi, rinunciando a loro membri per garantire un principio solidaristico.
Risposta "antigrandi": niente da fare, restiamo così e ce ne facciamo un baffo dei trattati e così si sono votati una risoluzione da soli con la maggioranza utile in assemblea.
Fra i votanti piccoli e medi è scattata la voglia di fare come Davide che abbatte Golia con una bella fiondata alla testa, ma trattasi di una "vittoria di Pirro", re dell'Epiro, che sconfisse due volte in battaglia i Romani ma poi fu sconfitto nella guerra.
Infatti lo "status quo" non reggerà nel Consiglio europeo - in sostanza gli Stati - che ai trattati si dovranno attenere e probabilmente applicheranno a pieno il principio proporzionale, usato senza pietà nella ripartizione dei seggi fra i Paesi al Parlamento europeo, che punirà chi pensava di aver vinto al "Comitato delle Regioni".
Complicato? Ci ho perso dietro, fra discussioni e proposte, un sacco di tempo!

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