December 2013

Mai chiudersi a riccio

Chi milita in un partito autonomista non vive in una bolla di sapone, vagando nel cielo. Ha perfetta consapevolezza che i rapporti politici e, quando il caso, le alleanze sono un fatto necessario per non morire nella semplice difesa - invero anacronistica per un federalista - dei propri confini.
Ecco perché non c’è nulla di stupefacente nel ritenere opportuni contatti politici in Italia e anche in Europa. Questa "diplomazia parlamentare" è stata una parte del mio lavoro di parlamentare prima a Roma alla Camera e poi a Bruxelles al Parlamento europeo ed al "Comitato delle Regioni".

La vita a colori

Un consiglio... a coloriDa settembre ad oggi, in una trasmissione settimanale alla radio di un'oretta, ho trattato dei colori con cui vediamo il mondo. Titolo, pur scusandomi per la banalità, è "Colori". Mancano - e ne parlerò quest'oggi - il bianco (un colore, non paia un paradosso, senza... tinta) e, proposto alla vigilia di Natale, il rosso (ton sur ton della festività) e il 31 dicembre, a chiusura, l'oro (luccicante per il Capodanno).
Il plot del programma è semplice: presento il colore nella sua generalità, lo applico poi alla realtà valdostana e sul punto ho degli ospiti in diretta con me. Inviata fuori dallo studio, sempre con persone intervistate legate in qualche modo al colore che fa da spina dorsale, c'è Elena Meynet. Le musiche sono, in qualche modo, anch'esse in tema con il colore prescelto.
E' stato un viaggio interessante, che ha posto l'attenzione su qualche cosa - i colori colti dalla nostra vista - che diamo così per scontato e di cui, di conseguenza, non ci accorgiamo più.
Racconta il solito "Focus", cui va dato atto della grande capacità di divulgazione: "Tutti gli animali hanno occhi o strutture analoghe per vedere il mondo a modo loro. Anche gli invertebrati più semplici, gli insetti più piccoli, persino le meduse, per il 99 per cento composte da acqua, hanno cellule sensibili alla luce che servono appunto da occhi. Ma come vedono? Anche se molti animali hanno occhi con strutture simili ai nostri, oggi sappiamo che il nostro modo di vedere è unico in natura, condiviso solamente dalle scimmie antropomorfe e poche altre specie".
Questo vale anche per i colori: è certo ad esempio, anche se mi sfugge come abbiano potuto appurarlo a colpi di «bau bau», che i cani vedano in bianco e nero.
Noi, con i colori non solo ci conviviamo nel rapporto con la Natura, ma costruiamo infinite varianti culturali, dando un significato a quanto ci circonda o a quanto creiamo noi stessi. L'uomo, nella sua capacità artistica, che è antichissima come dimostrano i disegni preistorici rinvenuti nelle caverne, ha sviluppato con i colori un universo di creazioni straordinario.
Ho cercato in ogni trasmissione di mettere delle citazioni. Talvolta fulminee: "I colori maturano la notte", scriveva la poetessa Alda Merini.
Oppure: "I colori hanno una loro vita propria, si trovano anche nella parte interna delle conchiglie assopite nelle profondità marine - è un indizio di feste segrete - grazie a una scoperta fortunata potremmo parteciparvi anche noi", come scriveva quel personaggio contrastato che fu Ernst Jünger.
O ancora un poeta come Charles Baudelaire: "Le parfums, les couleurs et les sons se répondent".
O, in ultimo, un pittore come Eugène Delacroix: "La couleur est par excellence la partie de l'art qui détient le don magique. Alors que le sujet, la forme, la ligne s'adressent d'abord à la pensée, la couleur n'a aucun sens pour l'intelligence, mais elle a tous les pouvoirs sur la sensibilité".
Belle riflessioni, vero? Sono un piccolissimo campionario delle sensazioni quotidiane che ci derivano dal nostro pianeta colorato. Spetta a noi, di tanto in tanto, concentrarci sulla fortuna di godere - grazie ai colori - di emozioni che ci appagano e, per chi vuol farlo, ci consentono di viaggiare con la fantasia.
Come ho cercato di fare in modulazione di frequenza. Da aprile mi piacerebbe parlare di sentimenti, in questo stesso percorso glocal: qui e altrove, dal minuscolo al gigantesco.

Twitter: buono o cattivo, caldo o freddo?

La 'timeline' del profilo 'Twitter' del 'Cpel'La politica valdostana disquisisce su "Twitter" e qualcuno teorizza che i messaggi cinguettati dal social media "inquinino" il dibattito politico. Perdindirindina!
Non mi dilungo sul "casus belli" specifico, che ha riguardato un parere che il "Consorzio degli Enti locali" ha inviato al Consiglio Valle, segnalando solo che la forma è in certi casi impastata con la sostanza e con il rispetto formale delle normative e se ci sono precedenti sbagliati, non fanno "precedente". Questo scontro a distanza fra Consiglio Valle e "Cpel" ha visto protagonisti i "tweet" reciproci, diventati oggetto della riflessione filosofico-politica sulla loro sostanza.
Interessante, invece, è la discussione sull'impatto che i nuovi mezzi di comunicazione hanno sia sull'opinione pubblica che sugli attori di determinate vicende.
Parto da distante: il sito filosofico.net torna utile nel ricordare una storia ben nota: "L'espressione "il mezzo è il messaggio", considerata la riflessione più importante di Marshall McLuhan, sta ad indicare che il vero messaggio che ogni medium trasmette è costituito dalla natura del medium stesso. Ogni medium va quindi studiato in base ai "criteri strutturali" in base ai quali organizza la comunicazione; è proprio la particolare struttura comunicativa di ogni medium che lo rende non neutrale, perchè essa suscita negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e porta alla formazione di una certa forma mentis. Ad esempio, il primo medium analizzato da McLuhan è stato il medium tipografico. McLuhan osserva infatti che la stampa ha avuto un grande impatto nella storia occidentale, veicolando la Riforma protestante, il razionalismo e l’illuminismo. Con l'espressione "il medium è il massaggio", il nostro autore intende sottolineare che ogni medium condiziona i propri utenti e contribuisce a plasmarne la mente: li "massaggia". Questo va inteso anche nel senso che li rassicura. Ci sono alcuni medium che, secondo McLuhan, assolvono soprattutto alla funzione di rassicurare e uno di questi medium è la televisione, che per lui era un mezzo di conferma: non era un medium che desse luogo a novità nell'ambito sociale o nell'ambito dei comportamenti personali. La televisione non crea delle novità, non suscita delle novità, è quindi un mezzo che massaggia, conforta, consola".
Il sociologo canadese (1911-1980), per motivi generazionali, non ha potuto seguire l'evoluzione tecnologica, che credo lo avrebbe costretto a rivedere certe sue teorie. Ricordo - dalla stessa fonte in una riflessione ormai superata - un altro passaggio piuttosto noto del suo pensiero: "Ad avviso di McLuhan, esistono media caldi e media freddi: questa classificazione ha dato luogo a equivoci e a discussioni, dovute al fatto che gli aggettivi "caldo" e "freddo" sono stati adoperati in senso antifrastico, cioè in senso opposto rispetto loro reale significato. McLuhan classifica come "freddi" i medium che hanno una "bassa definizione" e che quindi richiedono una "alta partecipazione" dell'utente, in modo che egli possa "riempire" e "completare" le informazioni non trasmesse; i media "caldi" sono invece quelli caratterizzati da un'alta definizione e da una scarsa partecipazione. A ogni modo, lo stesso McLuhan, nei suoi scritti, cade non poche volte in contraddizione nel definire "caldo" o "freddo" un particolare medium: nel caso della scrittura, per esempio, questa viene dapprima definita fredda poi "calda ed esplosiva".
McLuhan definisce medium freddi (cioè a bassa definizione) la televisione, il telefono, i film, i cartoni animati, la conversazione; viceversa definisce come caldi medium come la radio e la fotografia"
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Resta semmai vivissima la sua espressione ben nota e molto adoperata: "Quella del "villaggio globale" è una metafora adottata da McLuhan per indicare come, con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione, tramite l'avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo sia diventato "piccolo" e abbia assunto di conseguenza i comportamenti tipici di un villaggio. Le distanze siderali che in passato separavano le varie parti del mondo si sono ridotte e il mondo stesso ha smarrito il suo carattere di infinita grandezza per assumere quello di un villaggio".
"Twitter" - uno dei villaggi globali in essere - è sicuramente un medium "freddo", perché esplicitamente basato su di una logica partecipativa, che resta, per converso, inespressiva e vuota senza utenti-protagonisti.
Resta il fatto che chi pensi di operare forme di censura (e non parlo di reati in Rete, che sono altra storia) potrebbe anche pensare, in parallelo, di svuotare l'oceano con un cucchiaino.
Buon lavoro!

Chivasso 70 anni fa

Tavo BuratIl rimpianto Gustavo Buratti (Tavo Burat), intelligente ed eccentrico federalista piemontese, esperto enciclopedico delle minoranze linguistiche, ha scritto - una quindicina di anni fa - un articolo molto ricco di notizie per l'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli sulla Dichiarazione di Chivasso, adottata settant'anni fa come oggi.
Così raccontava: "Il 19 dicembre 1943 a Chivasso si svolse un convegno clandestino per fare il punto sulle proposte della Resistenza sulle autonomie alpine. Si scelse Chivasso perché a metà strada per coloro che provenivano dalle valli valdesi (Pinerolese) e per i valdostani, e perché c'era la casa del geometra Edoardo Pons (egli pure valdese), zio della moglie di uno dei convenuti, Giorgio Peyronel. Il geometra Pons non conosceva la vera ragione di quell'incontro, che non gli venne rivelata, soprattutto per la sua sicurezza. Ufficialmente la riunione doveva apparire dovuta alla stesura di un atto notarile davanti ad un notaio (il valdostano dottor Émile Chanoux), con la collaborazione tecnica di un geometra. Come sottolineano infatti Peyronel e Osvaldo Coïsson, in quei momenti qualsiasi riunione di più persone era sospetta ed era regola fondamentale avere sempre una motivazione ineccepibile da presentare anche alla gente comune. I vari gruppi della Resistenza avevano autonomamente elaborato alcuni documenti che andavano confrontati. Coïsson ricorda che Rollier era arrivato da Milano con i suoi testi da dibattere che estrasse dai calzini; e che egli stesso, rientrando, usò il medesimo sistema per evitare seri guai in caso di perquisizione da parte della polizia".
Spiega poi Burat: "A quell'incontro parteciparono dalla Valle d'Aosta il notaio Émile Chanoux - che pochi mesi dopo morirà nel carcere fascista - e l'avvocato Ernest Page; mentre il professore Federico Chabod, dell'Università di Milano, aveva inviato un suo documento, e un altro valdostano, Lino Binel, molto interessato a quella tematica, non era potuto venire perché in carcere; per le valli valdesi erano presenti Osvaldo Coïsson e Gustavo Malan, venuti da Torre Pellice, ed i professori Giorgio Peyronel e Marco Alberto Rollier, rispettivamente dell'Università e del Politecnico di Milano".
Sia Malan che Coïsson, con cui ho parlato molte volte, mi hanno confermato - ma non ne so di più - di un ruolo di collegamento fra valdostani e valdesi, dovuto a legami di amicizia della mia famiglia.
Osserva ancora Burat: "La "Dichiarazione di Chivasso" è una pietra miliare nella storia dell'idea federalista italiana, così come il "Manifesto" redatto in quel medesimo 1943 da un gruppo di uomini politici antifascisti confinati a Ventotene (tra i più autorevoli, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli), con il quale nacque il Movimento federalista europeo, che ebbe, già nella Resistenza, il suo organo a Milano nella rivista clandestina "L'unità europea". Le tesi di Chivasso furono rielaborate da Émile Chanoux nel saggio "Federalismo e autonomie", uscito clandestino nel 1944 nella serie "Quaderni dell'Italia Libera" del Partito d'azione"".
Nei testi preparatori e nella Carta vera e propria c'è il federalismo, l'autonomismo, i problemi delle minoranze linguistiche e della montagna, l'identità alpina e il respiro europeista.
E' un documento da rileggere, persino profetico in certi passaggi. Non bisogna farne la caricatura o piegarlo alla retorica, specie da parte di chi anche da noi ne esalta i valori per poi calpestarli, ma sapere che quel passaggio storico - in un momento terribile e buio della storia contemporanea - ha valore se non è una carta da museo, ma è un elemento ispiratore per il federalismo di oggi.
Anche in Valle d'Aosta: per fare di certe pagine il lievito per il pane fresco di oggi.

Babbo Natale e dintorni

Il classico Babbo Natale della 'Coca-Cola'Non so quando Babbo Natale sia morto, per me intendo, non in senso assoluto, perché il vecchio del Polo Nord direi che gode di ottima salute. Malgrado la crisi, resta un crescente punto di riferimento e la sua icona appare dappertutto.
Il famoso pugile italo-americano Jake LaMotta ha detto ed è caustico: «Eravamo così poveri che a Natale il mio vecchio usciva di casa, sparava un colpo di pistola in aria, poi rientrava in casa e diceva: spiacente ma Babbo Natale si è suicidato».
Mi riferivo a quel momento in cui incominci a dubitare che sia qualcun altro - per me era un misto fra Gesù Bambino e appunto Babbo Natale - a portarti i regali. Devo dire che, forse per distrazione di papà troppo spesso in giro per politica, non ricordo quando i più grandi Laurent e Eugénie abbiano scoperto che i regali li portavano genitori e amici e non quel personaggio che da San Nicola si è nei secoli trasfigurato in Babbo Natale, con il colpo finale della "Coca-Cola". In un suo libro dedicato al ruolo della multinazionale della bibita gassata Nicola Lagioia ha scritto: «Approdato a New York nel XVII secolo come residuato di una tradizione maturata per oltre mille anni nel Vecchio continente, quello che un tempo era stato San Nicola, vescovo di Mira (nell'attuale Turchia), si presentava nei primi decenni del Novecento americano come un potente simbolo del mondo dei consumi. L'impresa della "Coca-Cola" non consistette nell'aver determinato un processo di scristianizzazione già in atto da tempo ma nell’averlo semmai cristallizzato, rendendolo in qualche modo definitivo. Il fatto che quest'incontro sia avvenuto in modo quasi accidentale, non toglie che ci fossero le premesse di un matrimonio felice. Spesso le grandi imprese hanno bisogno di un pretesto, un imprevisto, un incidente di percorso che costringa i loro autori a tirar fuori dalle proprie azioni quello che non credevano possibile. La riscrittura di Santa Claus ad opera della "Coca-Cola" trovò questo pretesto nel dottor Harvey Washington Wiley, un personaggio il cui semplice nome evocherà per gli uomini della futura multinazionale scenari da incubo. Il dottor Wiley lavorava al Dipartimento di chimica degli Stati Uniti e cominciò a diventare noto nel 1902, quando diede vita alla "squadra del veleno", un gruppo di ragazzi utilizzati come cavie umane allo scopo di assumere additivi alimentari sospettati di essere nocivi. L'anno successivo Wiley fece partire una crociata salutista che troverà nella bibita con le bollicine un bersaglio privilegiato".
Insomma: Babbo Natale fu la risposta ad una visione "complottista" su certi nefasti della "Coca-Cola", che ancora aleggiano.
Ma torniamo al vecchio barbone, privato delle sue caratteristiche di Santo. Il più piccolo dei miei figli, Alexis, fresco dei suoi tre anni, crede ciecamente in Babbo Natale, ma - vivendo in epoca tecnologica, come si vede quando si destreggia con l'iPad - questa storia della letterina, con scrittura affidata alla mamma, gli va abbastanza per traverso. L'altro giorno, fulminato da una vetrina di giocattoli che aveva cambiato le sue priorità nell'elenco dei desideri già messi per scritto, ha capito che era difficile tornare indietro sulle scelte.
Così ha afferrato il telefonino di papà e ha simulato un'esilarante telefonata a Babbo Natale. Modi spicci per fargli capire che è giunta l'ora di adeguarsi: basta con le Poste!
Un giorno - mi viene una botta di tenerezza - saprà che, come ha scritto Charles Dickens: «Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l'anno».

La candelina dell'UVP

Un anno fa, ad Hône, con Elso, Laurent e LuigiIl tempo, si sa, accelera e decelera, a seconda delle circostanze. E aveva, in più, ragione Marcel Proust ad annotare: «Les jours sont peut-être égaux pour une horloge, mais pas pour un homme».
Un anno fa, assieme ad un gruppo di compagni d'avventura, ho compartecipato alla nascita dell'Union Valdôtaine Progressiste. Una discontinuità mica da ridere per chi, sin da ragazzino e anche per ragioni di famiglia, militava altrove. Direi, in sintesi, che si è trattato di uno strappo, doloroso ma motivato e ragionato, tanto da non dover stare neppur più a parlarne. Anche perché certe cose le ho già smontate e rimontate più volte. Certo - tornando alla mutevolezza della nozione di tempo - sembra ormai passato un sacco di tempo, ma non è così e, in mezzo, ci sono state due elezioni e la costruzione del nuovo Movimento, partendo da zero.
La mia vita politica, nel frattempo, è cambiata: lasciai subito gli impegni europei, specie il "Comitato delle Regioni", e poi non mi sono candidato alle elezioni regionali. Spesso mi chiedono, chi con affetto e chi con curiosità, se abbia lasciato definitivamente incarichi elettivi. Non so, per ora mi godo questo periodo sabbatico, dopo un lungo impegno in diversi ruoli. Chi vivrà vedrà se si tratta di un periodo sabbatico o di una situazione definitiva. Qualunque sia l'esito, penso che la vita vada vissuta con serenità, specie pensando ha quanto ho vissuto in politica in circa venticinque anni. Confesso che mi fa piacere trovare persone che continuano ad avere fiducia in me.
Nutro vivo interesse per l'esito futuro dell'UVP, perché la passione per la politica resta per me un impegno civile. A chi mi domanda se lo rifarei, rispondo senza esitazioni che è stata la scelta giusta, come le circostanze hanno dimostrato. Anzi, ho smesso di guardare, sin quasi da subito, nello specchietto retrovisore e guardo avanti. Questo non significa affatto rinunciare alla memoria del passato, compresi gli aspetti sgradevoli e le responsabilità dei singoli. Un giorno verrà in cui la rilettura di molte vicende di questi anni permetterà di capire storie oggi poco chiare e si scopriranno altarini e intrecci. Così alcuni che hanno fatto un passo indietro e tentennato a battersi per il cambiamento masticheranno ancora più amaro. E a maggior ragione questo varrà per i "reggicoda", che da dizionario sono quelli che sono "al servizio di un personaggio potente e ne eseguono ciecamente incarichi fiduciari, specie se scabrosi o delicati". Cui si sommano i "pappataci" (mangia e taci) e cioè quelli che "per amore di quieto vivere, o per pusillanimità, pensano a fare i propri interessi senza reagire a umiliazioni".
Se fosse che a fare le "liste nere" sono altri e mettere all'indice vorrebbe dire ricopiare metodi deprecabili, verrebbe davvero voglia di citare - nomi e cognomi - un certo sottobosco, degno del triste detto "credere, obbedire, combattere", finito poi, nel celebre Ventennio, con la caduta della dittatura e un fuggi fuggi di gran parte dei "fedelissimi". Insomma, un déjà vu.
Per cui, alla fine, soffio con speranza sulla candelina di un anno di UVP.

Inverno

L'inverno è anche cosìDa ieri è inverno: ci ha pensato il solstizio a mettere ordine nei nostri pensieri. In questo senso, trovo che ci sia qualcosa di più profondo, di quanto noi stessi immaginiamo, in questa differenza fra la scienza e il calcolo dei ritmi della natura e certe impressioni.
Mettiamo ordine: ieri alle 17.11 ora di Greenwich (da noi erano le 18.11) è scattato l'inizio della stagione invernale, almeno in senso astronomico e dunque abbiamo vissuto il giorno dell'anno in cui il sole a mezzogiorno è salito di meno rispetto all'orizzonte e dunque la notte scorsa è stata la più lunga del 2013. In epoca di incertezze non è male...
Ricordo di cosa parliamo: il solstizio è un fenomeno che accade due volte ogni anno, causato (così come gli equinozi) dalla diversa inclinazione dell'asse di rotazione della Terra rispetto al piano dell'eclittica (ovvero il piano dell'orbita su cui il nostro pianeta ruota intorno al Sole). Questa differenza causa nel corso dell'anno un moto apparente del sole nel cielo terrestre, che nel nostro emisfero fa si che raggiunga il suo punto di elevazione massima rispetto all'orizzonte in corrispondenza del solstizio d'estate (21 o 22 giugno), e quella minima nel solstizio d'inverno (21 o 22 dicembre). Ieri, appunto, per il 2013.
Aggiungo un elemento sulla quarta stagione dell'anno: inverno deriva dal latino "hībernu(m) - invernale", per ellissi dalla locuzione "hībernum tempus - stagione invernale", che ha sostituito il latino classico "hĭems hĭĕmis - "inverno". Entrambi vengono da "gheimrinos", che si ritrova - ad esempio - nel greco "kheimṓn" e nel sanscrito "hima 'freddo - inverno, neve" (da cui Himalaya). Belli i giri che fanno le parole!
Per noi inverno è, da dizionario: "Stagione dell'anno che dura 89 giorni e un'ora, dal 21 o 22 dicembre al 21 marzo, corrispondente all'estate nell'emisfero australe: inverno rigido, umido, crudo, nevoso, piovoso; essere nel cuore dell'inverno, entrare nell'inverno, quartieri d'inverno, quelli dove svernavano le truppe delle antiche milizie, in attesa di riprendere le operazioni al ritorno della buona stagione, generale Inverno, il rigido clima invernale, specialmente come fattore decisivo in una guerra".
Resta il fatto evidente che, come mostra l'uso del termine, l'inverno sia per noi la stagione più ostile e difficile, ma questo - al di là dei gusti personali e della capacità umana di renderlo confortevole con una serie di accorgimenti - è contraddetto dal fatto che il quotidiano allungamento dei giorni incarna più di ogni altra considerazione questa logica di una stagione che si accompagna già al cambiamento che verrà.
La forza evidente della metamorfosi, ben visibile in quel mondo agricolo che, più di ogni altra attività umana, interpreta la natura e che non a caso viaggia con un proprio orologio, sempre più avanti per non farsi travolgere dai ritmi della Natura.
Rispetto alla vita e alla facile metafora delle stagioni, c'è questo pensiero, adatto al ragionamento, del filosofo francese Alain (Émile-Auguste Chartier): «les morts veulent vivre ; ils veulent vivre en vous, ils veulent que votre vie développe richement ce qu’ils ont voulu. Ainsi les tombeaux nous renvoient à la vie. Ainsi notre pensée bondit joyeusement par-dessus le prochain hiver, jusqu'au prochain printemps et jusqu'aux premières feuilles. J'ai regardé hier une tige de lilas dont les feuilles allaient tomber, et j'y ai vu des bourgeons".

Quando i politici diventanto telepredicatori

Corrado Guzzanti nei panni del telepredicatore SnackI messaggi di fine anno, che siano stati in passato le cartoline augurali o siano oggi e-mail ed sms inviati agli amici, sono sempre stati all'insegna della speranza, se non dell'ottimismo, con le formule più o meno di rito. Ci mancherebbe solo che, in periodo natalizio o quando si traguarda un nuovo anno, ci si metta a fare troppo i problematici e i pensosi.
Noto, invece, che molte autorità politiche, anche in Valle d'Aosta, hanno assunto contenuti e pose da riflessivi padri di famiglia o da madri coraggio, alternando toni fra il drammatico e l'ecumenico, genere telepredicatore. Nelle loro parole si descrive - ma prima delle elezioni il mondo era ben diverso... - una situazione immanente, terribile e gravosa, che ci invita da una parte far assumere logiche pauperistiche e penitenziali e, dall'altra, a tirarci su le maniche in uno sforzo collettivo che ci renderà migliori e ci farà uscire dal mostro del nuovo Millennio: la Crisi.
Noto una grande assente: l'autocritica sotto le forme dell'assunzione delle proprie responsabilità, spesso persino storiche. Ed invece, sul punto, certi decisori - da sempre fautori di certezze granitiche e di una forza leonina - diventano mansueti come cagnolini di fronte all'opinione pubblica, quasi tremebondi a causa delle difficoltà che ci investono.
In fondo è comprensibile: sarebbe difficile dire cose del genere «ho fatto gravi errori», «capisco di non essere all'altezza», «mi sento inadeguato», «non ho gli strumenti per cosa si possa fare». Quella è una parte, che sarebbe solo un'operazione verità, che non si vuole fare, anche perché ormai la schizofrenia dei comportamenti è incredibile. Si dicono certe cose e se ne fanno altre, si annunciano i valori e li si calpesta, si predica democrazia e non la si pratica, si parla di occupazione e si sono sciupati soldi e opportunità. Esiste poi, come una presenza immanente, un turbinio di vicende che creano una ragnatela inquietante.
Ma nulla cambia e si ripercorrono copioni già visti, contando sul disinteresse, la smemoratezza, l'impunità. Si lavora sempre nella logica che spunti qualche inciucio, che qualche doppiogiochista venga valorizzato, che le cose alla fine si aggiustino, che qualunque situazione alla fine venga digerita.
Ho l'impressione che tutto ciò non avverrà e che la verità sarà destinata a svelarsi e questo comporterà un impegno per la comunità.
Ha scritto Massimo Gramellini: «Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi».
Bello pensare al Natale, sentendosi vivi.

Che il Natale sia con voi

Una delle più interessanti decorazioni natalizieChissà se il meteo ci prenderà davvero e ci capiterà fra capo e collo, nel volgere di poche ore, l'annunciata "Tempesta di Natale" (battezzata dagli esperti "Dirk", a dimostrazione che il maltempo viene ormai denominato anche con nomi al maschile). La bufera dovrebbe coincidere - con un'inquietante perfezione - con il periodo che andrà dall'odierna vigilia natalizia fino al successivo Santo Stefano. Per carità, sul Natale vige la regola "con i tuoi", ma certo gli spostamenti parentali ci sono e dunque vedremo se peserà l'allarme, che per altro mi pare assai moderato sulle Alpi, almeno fino al momento in cui ho pubblicato queste righe.
Vorrei approfittare di questo post per farvi tanti auguri: nel tempo questo spazio ha mutato identità per il modificarsi del contesto complessivo nel mondo dei social media, cui si aggiunge anche il cambiamento nel mio ruolo pubblico. Non è difficile capire come dalla logica del dibattito su queste pagine ci si sia progressivamente spostato verso una lettura a discapito della partecipazione. Una parte del confronto è oggi sul mio profilo "Twitter", che per altro è lìnkato qui a fianco nella sua completezza. Auguro qui e lo farò anche là tanti auguri a chi mi segue: c'è chi lo fa per amicizia o simpatia, chi per interesse che non significa pensarla nello stesso modo e c'è persino chi - meschinetto - lo deve fare per controllare che cosa io scriva. Sai che segreto...
Il Natale, fra mille ipocrisie e imperfezioni, ha mantenuto un nocciolo duro che mi piace ancora. Tra l'altro questa maledetta crisi, che fa schifo senza "se" e senza "ma", ha avuto come ricaduta una semplificazione nei rapporti umani, che ci ha liberati da molti aspetti barocchi e ridondanti. Facendo tra l'altro emergere tutti quei bugiardi a cui bisognerebbe portare il carbone vero e nessun regalo!
Il Natale è rimasto lì, forse più spoglio e più semplice, come un albero di Natale liberato da troppi festoni e luci o un presepe privato da troppi personaggi attorno alla scena essenziale della natalità. Predico, con il passare degli anni e anche per la curiosa concomitanza dovuta al mio compleanno, un affermarsi degli affetti più profondi e sinceri.
Quest'anno poi il caso vuole che martedì 24, mercoledì 25 e giovedì 26 dicembre tornerò a fare, per tre sere, un pezzo di lavoro in televisione, non dietro la quinte - come ormai da quasi cinque anni - ma direttamente sul piccolo schermo. Lo faccio con la testa sgombra e il sorriso, pensando a quel ragazzo che ero quando, nella lontana primavera del 1979, cominciai a fare televisione, convinto che quello sarebbe stato il mio lavoro per sempre, ma poi arrivò - pochi anni dopo - il lungo mandato elettivo.
Ora torno negli spazi di "RaiVd'A" e spero che si vedrà che lo faccio con la chiave, quella degli affetti, di cui dicevo.
Che il Natale sia con voi.

Oggi sono "la musica"!

La musica!Non sarà un numero tutto tondo di quelli che sono occasione di festeggiamento solenne. Ma, in questo Natale del 2013, il mio compleanno mi porta un numero, che mi pesa sulla schiena, che è il 55. Così, pur non avendo mai giocato al "Lotto", sono andato a vedere che cosa possa significare questo numero nella più celebre numerologia popolaresca. Parente povera della "Cabala", la "Smorfia napoletana" è per molti giocatori una chiave di lettura del mondo, che dovrebbe condurli alla agognata vincita. L'origine della definizione"smorfia" è discussa, ma qualcuno dice che potrebbe essere una distorsione dialettale del nome di Morfeo, il dio dei sogni nell'antica Grecia, visto che è nei sogni che emergono figure che poi vengono trasformate in numeri da giocare.
Così oggi io, dal numero degli anni, sono - dalla consultazione della tabella partenopea, cui non sfugge alcuna combinazione - "la musica", almeno è questa la correlazione proposta. Oggi so bene che dovrò essere una musica natalizia, visto che la colonna sonora - che personalmente ritengo un dettaglio importante - sarà questa nel sottofondo dei momenti della festività: l'apertura dei regali, poi il pranzo e infine qualche filmetto sul Natale in fase digestiva. In questo copione già scritto, ci sta anche il "Tanti auguri a te" e lo spegnimento delle mie candeline, oggi per fortuna - altrimenti non ci starebbero sulla torta... - felicemente riassunte in un numero stilizzato con candelina unica che spegnerò senza sforzi polmonari. Il mio desiderio da spegnimento, come ben sapete, devo tenerlo per me, come presupposto per la sua realizzazione.
La mia musica odierna è anche il piacere dei doni. Nel mix regali fra Natale e compleanno rifulgono un paio di sci e un completo da sci: malgrado diversi acciacchi, questo vuol dire che tocca tornare sulle piste e mi pare che le nevicate non offrano alibi alla pigrizia. Mi sembrava, ma temo sia un segno di senilità, che pure l'albero di Natale mi sorridesse per il venir meno della lamentazione: «Ho un paio di sci degni di Zeno Colò...».
Insomma: Buon Natale e spero che per voi sia una bella giornata!

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