December 2013

Eppur si muove!

La 'Tempesta di Natale' sopra AostaLa "Tempesta di Natale" sembra aver risparmiato il versante sud delle Alpi, anche se piove ininterrottamente da molte ore nei fondovalle e si sa che questo comporta sempre qualche rischio. Tra oggi e domani inizia per il turismo invernale il periodo di maggior concentrazione di turisti e saranno una dozzina di giorni importanti per il bilancio complessivo.
Par di capire, visto che non si è approfondito l'uso di strumenti scientifici istantanei che consentissero forme credibili di rilevamento, che le attese degli operatori turistici - specie gli albergatori, che rappresentano un pezzo importante del sistema - siano piuttosto buone. E questo e del tutto confortante, tenendo conto del contesto di difficoltà dell'economia, che alimenta una contrazione dei consumi.
Lo si è visto con il periodo pre-natalizio nel commercio, dove mancano meccanismi ex post, come invece avviene con gli arrivi e presenze nelle strutture ricettive. E' un autentico peccato che per il commercio non ci si nulla di strutturato e di metodico, perché le sole percezioni personali e il sommarsi delle lamentazioni dei singoli finiscono per non restituirci con esattezza le situazioni del momento. Anche se, purtroppo, resta - incombente su tutto - la diminuzione di una serie di tassazioni sul fronte delle entrate, che in Valle d'Aosta alimentano le casse regionali e accentueranno in prospettiva quei problemi già derivanti dal mancato funzionamento dell'ordinamento finanziario che regola il rapporto fra Stato e Regione autonoma.
Forse, al di là dello scontro politico al calor bianco fra maggioranza e opposizione in Consiglio Valle, dove l'equilibrio dei diciotto voti a diciassette continua ad alimentare attese di cambiamento, colpiscono - pur da fronti diverse - le parole del giovane presidente degli albergatori, Alessandro Cavaliere, e del segretario del sindacato valdostano "Savt", Guido Corniolo, nel corso delle rispettive assemblee.
Entrambi, ovviamente con modi e toni diversi, hanno parlato di un modello valdostano in via di esaurimento e della necessità di un cambio di prospettiva e di marcia.
E' presto per dire dove porteranno questi elementi, in parte nuovi in logiche associazionistiche di "parti sociali" (spesso in Valle ferme da decenni), ma verrebbe da dire "eppur si muove!».

Francesco Nex, un uomo libero

Io con Francesco Nex, nel 2007Francesco Nex aveva fama di uomo senza peli sulla lingua, cui stavano terribilmente antipatici i politici, messi assieme in una sua lista nera. Con me, le volte in cui ci siamo trovati, era sempre stato gentile e dialogante, forse perché aveva avuto - anche se non ne ho mai conosciuto gli esatti contorni - un'amicizia giovanile con mio papà e con qualcuno dei suoi fratelli. Non stupisce in una Valle piccola com'era di certo quella sua giovinezza e, tutto sommato, quella del dopoguerra. Credo poi che la schiettezza, che per i più è un difetto, ci accomunasse.
Per cui, quando ero presidente, ebbi il piacere di doverlo contattare, per il possibile ottenimento del titolo di "Chevalier de l'Autonomie", che certo gli spettava per il suo curriculum di artista e per come la sua fama aveva illustrato nel mondo la Valle d'Aosta. I miei collaboratori temevano un diniego per quel suo carattere anarchico e antisistema e, invece, ne fu felice. Era il 7 settembre 2007 e venne premiato in piazza Chanoux assieme ad Ida Désandré, Umberto Parini, Joseph-César Perrin, Vincent Trèves e, alla memoria, Rinaldo Bertolin.
Questa fu allora la sua scheda biografica, redatta per presentare la sua candidatura: "Nato il 6 luglio 1921 a Mattão in Brasile da Francesco Antonio Nex, un immigrato valdostano originario di Doues, e dalla tedesca Albertina Peter, arrivò ad Aosta nel 1923, dopo la morte della madre. A sei anni decise che avrebbe fatto il pittore ricalcando le orme degli Artari, una famiglia di artisti con cinquecento anni di storia alle spalle, da cui discende per parte di nonna.
Nell'autunno 1940 fu ammesso all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove ebbe tra i suoi insegnanti Felice Casorati. L'11 febbraio 1941 è tra i 1.600 studenti universitari volontari che vengono incorporati presso la "Scuola centrale militare di Alpinismo" di Aosta per frequentare il Corso allievi sergenti di complemento delle truppe alpine. Inizia così la "sua" guerra che lo vedrà sottotenente al Battaglione "Feltre" e poi al battaglione "Cadore".
Diplomatosi alla fine del 1945, dal 1946 al 1951 fu assistente del professor Alberto Cibrario all'Accademia Albertina. Dal 1951 al 1975 insegnò al "Magistero per la donna" di Torino.
La sua prima personale risale al 1947, con un'esposizione di disegni alla galleria "Faber" di Torino. Nel 1949 gli fu conferito il "Premio Châtillon" al secondo "Gran Premio Saint-Vincent per la pittura e la scultura", vinto quell'anno proprio da Casorati. Iniziò così una luminosa carriera artistica che lo ha portato a misurarsi con eccelsi risultati con vari tipi di materiale: dalla ceramica al ferro, dal rame alla seta, quest'ultima supporto prediletto per la sua pittura e alla quale dedica anche una personale nel 1961 ad Aosta.
Nel 1979 l'Amministrazione regionale gli dedica un'importante mostra di pitture su seta alla Tour Fromage, mentre nel 1980 si inaugura il nuovo Sanctuaire de la Sainte Famille ad Erésaz per il quale Nex ha realizzato una "Fuga in Egitto" della Sacra Famiglia"
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Naturalmente - e lo trovate sul sito dell'artista - ha continuato il suo lavoro negli anni successivi. Lo incontrai ancora dopo la grave malattia agli occhi che, negli ultimi tempi, gli aveva impedito crudelmente ogni attività: una terribile prova per chi aveva fatto delle immagini e dei colori la sua vita.
In piazza Chanoux aveva detto al pubblico presente: «La Valle d'Aosta è sempre stata il mio grande amore: conosco tutti i passi delle montagne. Amo tutto della Valle d'Aosta, vorrei che i valdostani l'amassero come io la amo. Sono tornato a vivere qui per raccontare storie che potevano essere successe e invitare ad amare questa Valle, dovremmo dirci di più le nostre impressioni e i nostri sogni. A volte non è così e mi dispiace molto».
Belle parole di un uomo libero.

Stamina: un caso italiano

Ci sono molte ragioni per vergognarsi in Italia (o, se preferite, "dell'Italia") e non lo dico con un sentimento avverso, ma con un evidente dispiacere per un Paese che spesso, anche a proposito e a sproposito sulle Autonomie speciali, invoca il senso dello Stato e lo viola in modo sistematico. Le regole sono troppo spesso un lusso, come se nascessero per essere violate.
Trovo che il premio in negativo per il 2013 vada assegnato alle vicende attorno al "metodo Stamina", che mostrano il volto tentennante di una politica inerme e di scelte importanti che finiscono nelle mani della giurisprudenza, spesso capricciosa e lenta, della giustizia amministrativa. E lo stesso vale per giudici civili, che si sono trovati a decidere se obbligare la Sanità pubblica a utilizzare un metodo privo di qualunque reale validazione sperimentale in favore di singoli pazienti, spesso dei bambini.

La neve è poesia, ma non solo...

Il panorama innevato di AyasCredo che a qualunque valdostano, ma ciò vale per gli altri abitanti delle Alpi, le nevicate delle scorse ore aprano il cuore, al di là dei disagi che si possono creare. Anzi a chi, come me, abita nel fondovalle resta il rimpianto che la neve non sia giunta a bassa quota a causa delle temperature troppo elevate. Ha ragione la scrittrice canadese (o meglio acadienne) Antonine Maillet, quando scrive: «La neige possède ce secret de rendre au coeur en un souffle la joie naïve que les années lui ont impitoyablement arrachée».
Ma la poesia della neve si è fatta molto attendere in questi anni. La questione è nota: mentre ancora nella mia infanzia la neve arriva a in modo certo e regolare, da una trentina d'anni per le zone dello sci si aspetta la neve con una logica da estrazioni del lotto. Produrre la neve artificiale costa un sacco di soldi in attrezzature, personale e energia elettrica e, per alcuni, ci sono anche complesse operazioni di stoccaggio dell'acqua, che miscelata con l'aria alimenta i famosi "cannoni". Per altro, sciare lungo piste innevate artificialmente non ha lo stesso gusto della neve naturale e, in stagioni grame, la mancanza di un panorama invernale tutto attorno non è un dettaglio, perché lo sci è anche godimento dell'ambiente naturale in cui si è immersi.
La neve fresca, come quella caduta copiosa di queste ore, è una meraviglia, ma crea sempre preoccupazioni. Ogni Comune valdostano ha ormai, in modo minuzioso, mappato le valanghe che possono risultare rischiose per cittadini e turisti. Quando nevica molto, in certe vallate, la minaccia incombe, malgrado le costose opere paravalanghe, anche su certe zone abitate e lungo le strade e spetta alle locali Commissioni valanghe adottare le necessarie precauzioni.
Per la pratica dello sci problemi, invece, non ce ne sono in pista: anche in questo caso la catena di comando e di responsabilità è chiarita da una legge regionale e, in caso di pericoli, si giunge al blocco vero e proprio, come ieri è avvenuto prudenzialmente nei comprensori di Gressoney. Restano, ovunque sia nevicato, gli inviti alla prudenza per il fuoripista, un tempo appannaggio solo degli esperti, mentre oggi il freeride è un moda, specie per i giovani, che ha riportato sugli sci o sullo snowboard anche generazioni che sembravano non interessate agli sport della neve. Il problema è che non sempre all'entusiasmo e alla grinta corrispondono le conoscenze e l'esperienza per muoversi in ambiente montano, che può dimostrarsi ostile, se non si prendono le precauzioni necessarie.
Mi è capitato di approfondire la dinamica di valanghe e slavine e chi ne sottostima la pericolosità non sa davvero con quale forza della natura ha a che fare. Per cui l'invito alla prudenza non è un ripetitivo esercizio di circostanza, ma la constatazione che i rischi ci sono davvero.

Attorno al decreto-legge

Enrico Letta e Giorgio Napolitano al giuramento del GovernoUna parte dell'articolo 77 della Costituzione riguarda il decreto-legge e dice: "Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione".
La questione è chiara: siamo di fronte a atto normativo di carattere provvisorio, che ha forza di legge e riguarda - come detto - casi straordinari di necessità e urgenza, individuati dal Governo. Entrato in vigore immediatamente dopo la pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale", produce effetti provvisori, se non avviene in tempo la già citata conversione in legge da parte dei due rami del Parlamento.
Io, nella mia esperienza a Montecitorio, specie nella prima Commissione "Affari Costituzionali", cui spetta vigilare sulla straordinarietà sotto il profilo della necessità e urgenza, ne ho visti passare un sacco di decreti-legge e nelle materie le più disparate. Fu la famosa decisione della Corte Costituzionale, con la sentenza numero 360 del 1996, che mise la parola "fine" alla prassi della reiterazione, che consentiva di ripetere lo stesso decreto, anche più volte consecutivamente, dopo la prima decadenza, aggirando di fatto il dettato della Costituzione.
Ma i Governi che ho visto susseguirsi - con il momento peggiore con il Governo Monti - hanno sistematicamente abusato dello strumento del decreto-legge, costringendo in casi importanti il Parlamento al "prendere o lasciare" con l'apposizione ripetuta dei voti di fiducia per evitare lo scadere ormai tassativo dei sessanta giorni. Questa compressione dei diritti e doveri della democrazia parlamentare, con l'abuso del decreto legge, hanno causato un assalto alla diligenza sul testo di ogni decreto-legge in conversione. La sola arma, in fondo, per i parlamentari per dimostrare di esistere contro lo strapotere dell'Esecutivo.
Ma anche il troppo stroppia, per cui il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha scritto ieri una lettera ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio, per dire: «basta con decreti-legge che diventino dei mostri giuridici, che assomigliano a treni che trascinino troppi vagoni in materie che non hanno la necessità e l'urgenza alla base di quel potere legislativo straordinario da parte del Governo, che funziona solo se sopravviene il "sì" delle Camere».
Pare storia di poco conto o un pallino dei giuristi, quando invece, dietro ai tecnicismi, vi è un tema di grande spessore e di equilibrio fra il potere esecutivo e quello legislativo. Un aspetto decisivo in democrazia, che vale anche per una realtà istituzionale come quella valdostana. Per quanto i decreti-legge non siano previsti dallo Statuto d'autonomia, anche da noi, in questi anni, eccessi di potere della Giunta regionale - e specie del suo presidente - hanno messo in un angolo il ruolo del Consiglio Valle, custode della sovranità popolare. Gli equilibri di potere, anche nel nostro ordinamento, sono una garanzia da rispettare.

Sul cucuzzolo della montagna...

Il sottoscritto in seggioviaUn paio di sci nuovi, di quelli che hanno scritte talmente innovative e inquietanti, che ti viene voglia di farli andare da soli, mentre tu ti bevi al bar una cioccolata calda. Lo stesso vale per il materiale tecnico d'abbigliamento, che è spiegato in modo così roboante da farmi sentire un astronauta. Idem gli scarponi, che dovrebbero essere il top del confort, ma i miei piedi non ne paiono del tutto convinti. Accarezzo l'idea delle calzature da sci "à la carte", come si può fare ormai con appositi esperti che ti modellano la scarpa praticamente su misura.
Insomma, sono andato a sciare: l'ultima volta - capisco che è un vezzo - avevo sciato, mesi fa, in un enorme capannone innevato con chalettini in stile tirolese a Dubai. E saranno le giunture che scricchiolano e il fiatone che deriva dalla stupida presunzione di far le piste tutte di filato, ma non posso non pensare - il giorno della prima lezione di sci per il treenne Alexis - all'evoluzione nel tempo e mi sento una sorta di "Matusalemme".
Oggi chi comincia lo fa con materiale leggero e friendly e su tappeti che ti portano sul declivio con evidente confortevolezza. Io ho cominciato con sci novecenteschi di legno con scarponi con i lacci e, prima di affrontare quegli skilift, talvolta con pendenze impressionanti (se si fermava, da principiante, era un bel batticuore), toccava - simile a un rito d'iniziazione di un giovane indigeno nella giungla - risalire il pendio a scaletta e da bambino era una piccola "via Crucis", bardati con maglioni, cappelli, sciarponi e giacche a vento degne dei soldati della Prima Guerra mondiale. Su certi impianti - penso alla seggiovia del "Weismatten" a Gressoney-Saint-Jean con pista nera da incubo - ti fornivano di coperta, come se fosse stata una tradotta.
I maestri di sci non erano i gentili maestri di sci di oggi, ma - in linea con i maestri di scuola del tempo - avevano una intrinseca severità con il giovane neofita e qualche racchettata nel sedere per calmare gli eccessi degli allievi in fila nelle classi collettive scappava!
E poi le piste. Mi ha fatto ridere mio fratello, già sessantenne, l'altro giorno con la descrizione del primo giorno di sci nel comprensorio del Crest di Champoluc non battuto dopo la nevicata. Conseguenza: il ritorno delle gobbe, incubo delle piste, prima che i gatti delle nevi diventassero dei leoni delle nevi con delle cilindrate spaventose che spianano qualunque cosa. E Alberto, tapino, ammetteva: «Non ero più abituato, sono un uomo morto!».
Plaudo, dunque, senza nostalgia all'evoluzione tecnologica. Ho delle foto della conca di Pila che risalgono al periodo fra gli anni Trenta e Quaranta dei primi passi dello sci in Valle. E' un insieme straordinario di immagini, che riempiono di nostalgia per i tempi pionieristici, ma certo oggi lo sci è diventato più facile per tutti.

Il romanzo e la realtà

Alessandro PerissinottoHo avuto il piacere di conoscere lo scrittore torinese Alessandro Perissinotto, autore di "noir" (o, se preferite, polizieschi), ma anche di saggi su Internet e multimedialità, che derivano dal lavoro di docente universitario. È stato un caso: essere stato chiamato in una manifestazione a Gressoney-Saint-Jean in cui - ma poi nel dialogo abbiamo divagato - ho presentato il suo ultimo romanzo, intitolato "Le colpe dei padri".
Nell'oretta di botta e risposta - e a me la parte dell'intervistatore piace - abbiamo parlato di tante cose, cominciando dalla sua esperienza narrativa, iniziata con un primo libro nel 1997 e proseguita, attraverso diversi libri, sino a quest'ultimo, giunto secondo al "Premio Strega". Si tratta di un volume, io l'ho letto come ebook, avvincente, che oscilla - ambientato a Torino - fra i tempi odierni, in cui la crisi dell'industria e la delocalizzazione delle imprese pesano (e incombe, a conclusione del libro, il possibile addio al Piemonte della "Fiat") e continui rimandi agli anni Settanta con i drammi del terrorismo di "Brigate Rosse" e di altre sigle. Io una piccola parte di quegli anni l'ho vissuta, anche per via di alcuni amici che militavano nell'area di Autonomia e poi, proprio agli esordi della mia carriera giornalistica, ho lavorato nel capoluogo torinese. Per cui certi ricordi di Perissinotto - più giovane di me di cinque anni - li ho ben presenti e sono lo specchio di "anni di piombo" cupi e di difficili lettura, specie mentre si vivevano e erano troppi a giocare, specie in una logica di stolida simpatia, con il fuoco dell'estremismo. Per chi non abbia idea del numero e della tipologia delle vittime guardi qui.
Il romanzo, in questo "va e vieni" fra passato e presente, offre spunti di riflessione, che mostrano la vitalità del romanzo come strumento di lettura della realtà, pur nell'intrico di storie fantasiose mischiate alla cronaca davvero accaduta.
Ma con Perissinotto abbiamo guardato anche ad altri suoi libri, come "Semina il vento" sui problemi d'integrazione multiculturale in area alpina o "Per vendetta", ambientato nell'Argentina ancora scossa dai ricordi delle tragedie della dittatura (con un passaggio riguardante un incidente in montagna ambientato in Valle d'Aosta).
A chiudere la serata un annuncio e alcuni ricordi divertenti. L'annuncio è che il prossimo libro, ma con personaggi torinesi in primo piano, sarà ambientato in Cina. I ricordi divertenti riguardano il libro "Ti ricordi?", fatto di evocazione dei soggiorni da bambino in Val di Lanzo, vallata alpina francoprovenzale. In un "abbecedario della memoria", descritto in alcuni punti dallo scrittore, si descrivono luoghi, situazioni e personaggi, che potrebbero vivere in qualunque punto delle Alpi. Si va dal ricordo delle attrezzature sciistiche di un tempo alla presenza dei bar nei piccoli paesini, dall'uso dei nomignoli per distinguere le persone in un batter d'occhio a certe bevande di un tempo, come la gazzosa con la biglia.
Nella sua narrazione, ci sono emozioni e sentimenti, spesso contrastanti, in cui la vita e la morte si inseguono, in un impasto fatto di amore, odio, speranze e delusioni. In fondo, costruita in trame che creano suspence, si tratta nient'altro che dell'esistenza, nostra e altrui, come la conosciamo.

A due passi dal 2014

Auguri per un ottimo 2014Si chiude fra poco un anno e, come da qualche tempo, il mio San Silvestro avrà una dimensione intima con alcuni amici. Ci sono stati anni - beata gioventù - in cui l'imperativo categorico era quello del divertimento a tutti i costi. Ho sempre avuto un côté organizzativo, che mi spingeva a scelte logistiche, alla determinazione del vettovagliamento e persino alla proposta dei cotillons più adatti alla bisogna. In alcuni periodi - prima di determinare che si trattava di una cosa che faceva troppo soffrire i poveri cani - mi sono pure occupato dei munizionamenti e cioè dei fuochi d'artificio.
Oggi la dimensione è quella di una buona cena, dei buoni vini (poi non guido) e le lunghe chiacchiere che ti portano sino alla Mezzanotte con una bottiglia di champagne in mano e nessuna particolare follia. Qualche telefonata a chi vuoi bene per un pensiero perché non è con te e così, senza clamori o mondanità, si cambia pagina del calendario con quella scritta - 2014 - che diventerà familiare solo dopo qualche settimana.
Quando di questi tempi ci si guarda attorno, c'è poco da stare allegri e i propositi per l'anno che verrà finiscono per essere basici e non troppo svolazzanti. Ho sempre odiato gli eccessi retorici, ma di questi tempi odio ancor di più qualunque tipo di discorso enfatico e ampolloso. Ma mi fa schifo anche il contrario e cioè la retorica a rovescio e cioè la retorica dell'antiretorica, di chi si rifugia in buonismi, populismi, frasi fatte per compiacere. Entrambi, come opposti che si toccano, mi danno il voltastomaco. C'è bisogno - e si può dire bene e con le parole giuste - di verità nella sua nudità e crudezza per dare un senso a questo anno nascente dalle ceneri di un periodo in cui ci vuole forza per mantenere speranze e ottimismo.
E, d'altra parte, serve il lasciarsi andare e farsi inghiottire dal pessimismo? A chi giova l'abbattimento e l'abbandono?
Non so se ci sia oggi qualche disegno che pesa sull'Italia e pure, con dinamiche che mi preoccupano perché vedo molte cose in filigrana, sulla Valle d'Aosta. Ma resta il fatto - semplicissimo - che alla democrazia, scalcinata e talvolta mefitica, non ci sono alternative, proprio se non ci si lascia condurre o irreggimentare. Devono per questo restare intatto il senso civico, l'impegno civile, la voglia di reagire e di fare.
Ogni tanto mi domando dove stia andando la comunità valdostana cui appartengo, in questa Italia dolente e in un'Europa in crisi di identità e se ci siano medicine per curare certe malattie che ci stanno avvelenando la vita. Alla fine la risposta - haute et forte, come si dice in francese - è ancora positiva, perché questo dev'essere il motore della nostra vita e lo dobbiamo a noi stessi e a chi ci sta vicino.
Questo è il mio augurio per il 2014: la consapevolezza che ciascuno di noi conta.

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