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17 mar 2021

Guardarsi in faccia

di Luciano Caveri

Giù la mascherina! Esiste una necessità vitale - un bel respiro quando lo si può fare in sicurezza - ed anche sociale e cioè scorgere, da distante, la fattezza di qualcuno che si incontra. Ho piena consapevolezza dell'utilità della mascherina come elemento di protezione contro il virus e aborrisco i "noMask", che sono quasi sempre "noVax", che mettono assieme - che si capisca bene il fenomeno - gli estremisti di destra e di sinistra in un insolito destino che non stupisce. Quindi non ne discuto l'uso, anzi proprio avendo scampato sinora al contagio, pur avendo incontrato molte persone poi risultate malate, sono certo che non mi abbiano contagiato anche per questa benedetta/maledetta mascherina. Resta, però, questa questione importante del vedersi fra noi, essendo "scimmie nude" come diceva con realismo quel Desmond Morris, straordinario nel descrittivo di noi esseri umani.

Guardavo poi le parole sul dizionario etimologico: «"fàccia" (XIII secolo), dal latino tardo "facĭa(m)", latino classico "făcĭēs -ēi", francese "face", occitano "fasa", rumeno "faţă", lo spagnolo "hacia". Il latino "făcĭēs" significava prima di tutto "figura", "forma", "aspetto" ed era correttamente ricondotto a "făcĕre", "fare", "plasmare", "dare forma"». Verissimo questo fatto di come quella sia una sorta di impronta digitale, di "Dna" visibile, come ormai constatiamo con il riconoscimento facciale dei nostri telefonino. Esiste poi un'altra parola, che è «"vìṣo" (XIII secolo): dal latino "vīsu(m)", "vista", "sguardo"; "aspetto"; "visione", derivato del participio passato di "vidēre", "vedere"». Già, la vista! Ogni volta che capita di conoscere qualcuno esiste quel colpo d'occhio oggi reso difficile. Pensate ai ciechi che con il tatto scoprono i visi di chi non possono vedere. Ma esiste anche "volto" (prima del 1313) «dal latino "voltus-ūs" e "vŭltus-ūs", "espressione del volto", "sguardo"; "aspetto", "fisionomia"; "immagine", "ritratto", appartenente alla famiglia di "velle", "volere"». Nella sua opera più celebre, "L'uomo delinquente", il criminologo Cesare Lombroso sosteneva che ci fosse un rapporto diretto tra i tratti somatici di una persona e la sua indole; dunque studiando attentamente il volto se ne poteva dedurre la pericolosità. La "fisiognomia" o "fisiognomonia" è stata smontata nella sua pretesa di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto. Giustissimo, ma non si può negare quanto un viso ci parli in ogni circostanza, in quelli belli e in quelli brutti, nella gioia e nel dolore, da appena nati alla vecchiaia estrema e si potrebbe continuare in questi contrari. Ha scritto Fernando Pessoa e mi stupisce il pensiero su cui non avevo mai ragionato: «L'uomo non deve potersi guardare in faccia. E' la cosa più terribile. La Natura gli ha fatto dono di non poterla vedere, così come di non poter fissare i propri occhi. Soltanto nell'acqua dei fiumi e dei laghi poteva scrutare il suo volto. E la postura che doveva assumere era peraltro simbolica. Doveva piegarsi, abbassarsi, per commettere l'ignominia di vedersi. Chi ha inventato lo specchio ha avvelenato l'anima dell'uomo»". Oggi, con la mascherina, stentiamo a specchiarci negli altri e - questa volta in uno specchio - ritroviamo un altro da noi, perché stigma di questo periodo calamitoso.