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21 mar 2021

Parole a vanvera

di Luciano Caveri

Verrebbe voglia, come si fa ogni tanto nelle premesse dei capitoli di un libro, di apporre all'inizio due frasi diverse ma in fondo complementari che diano il senso dei miei pensieri ancora prima che li formuli. «La libertà di opinioni presume che se ne abbiano» (Henrich Heine) ed anche «La democrazia è la necessità di piegarsi di tanto in tanto alle opinioni degli altri» (Winston Churchill). Io penso che ogni opinione sia legittima nel limite del buonsenso e della ragionevolezza. Già questo aiuta a orientarsi. Scartati dunque gli insensati e chi è fuori di testa resta un ulteriore perimetro. In questo mondo in cui i "social" impazzano e gli opinionisti si moltiplicano a dismisura sarà ora infatti di affermare una straordinaria banalità: le opinioni devono essere informate. Per carità, nessuno è senza peccato e può capitare di avventurarsi in discussioni ardite su temi sui quali non si hanno le conoscenze necessarie, ma quel che diventa insopportabile è dover subire chi di questa leggerezza diventa portavoce e assurge ad opinionista senza averne basi e qualità. Spesso ammanta il vuoto con prosopopea o talvolta c'è persino chi si fa vanto della sua ignoranza come elemento di chissà quale saggezza popolare.

Mi fa sorridere sempre un'espressione efficace, che è "parlare a vanvera". Interessante cosa dice, in un passaggio sul tema, l'Accademia della Crusca: «Di "onomatopea romanza" parla L'Etimologico di Nocentini-Parenti, che alla voce vanvera scrive così: "variante con consonante sonora di fànfera, che deriva dalla stessa sequenza imitativa di fànfano, fanfara e fanfarone" (quest'ultimo dallo spagnolo "fanfarrón"). E' possibile dunque ipotizzare una retroformazione da fanfarone con spostamento d'accento e alterazione fonetica della sillaba centrale. Analogamente il Duro/Treccani conferisce a "fànfera", a cui rimanda da "vànvera", un'origine di tipo espressivo. Alle spalle vi sarebbe il suono "fan-fan", tipico delle trombe militari (Vatielli 1941, pagina 300): un "dare fiato alle trombe", insomma, o un "parlare in aria", per riprendere la definizione di Serdonati, che ha dato luogo a interpretazioni colorite e sconce, come quella della "piritera" (o "vanvera", appunto), oggetto simile all'antico "prallo" e molto in voga presso gli aristocratici veneziani e napoletani del Seicento e oltre. A seconda dell'impiego in ambienti pubblici o privati la vanvera poteva essere da passeggio o da alcova e risolveva i disturbi gastrointestinali di re e principi. Parlare a vanvera si potrebbe anche dire nel senso di "Lasciare ire le parole come l'asin le peta"». Insomma fra tromba ed emissione gassosa si rappresenta con chiarezza il rischio che le fanfaronate o le stupidaggini vengano vendute per opinioni! Capita troppo spesso, anche nelle discussioni politiche, di scoprire che alcuni interlocutori sono come i villaggi del Far West degli "spaghetti western" e ciò solo facciate senza nulla dietro. Mi è capitato spesso di sudare sui dossier e poi trovarmi a farmi spiegare le cose da chi, in opposizione alle mie tesi aveva letto neppure una riga ed improvvisava. Ben diverso ovviamente è confrontarsi con chi ha un'opinione informata: si può dissentire anche in questo caso, ma il dibattito ha un livello diverso, davvero arricchente e stimolante. Il resto, invece, è tempo perduto.