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27 gen 2022

La democrazia non è "mordi e fuggi"

di Luciano Caveri

Ogni tanto mi figuro la mia vita senza la politica. Certo sarebbe potuto accadere tranquillamente. Per una serie di fortune (perché la fortuna conta, poi uno deve assecondarla impegnandosi per meritarla) mi ritrovai ad essere nel 1980 il più giovane giornalista della "Rai". Per cui, avendoci messo tutte le energie e la passione di un ventenne, mi tolsi negli anni di carriera molte soddisfazioni e chissà che cosa avrei fatto nel giornalismo. Lo so quanto sia inutile baloccarsi con scenari diversi. Mi ha molto divertito un cartone animato che ho visto per caso credo su "Netflix" in cui giocavano con gli eventi storici e nell'episodio che ho visto si disegnavano diverse possibilità di come sarebbero cambiate le cose se Hitler non avesse seguito il percorso che oggi conosciamo.

Per capirci con un caso che ci riguarda tutti: cosa sarebbe successo se la Valle d'Aosta all'epoca della riforma protestante avesse scelto di abbandonare il cattolicesimo e Casa Savoia ed annettersi alla Svizzera? Oppure: se la Francia avesse annesso il territorio valdostano nel secondo dopoguerra cosa saremmo oggi? Chiudo la bizzarra digressione e torno al punto e cioè alla politica o "Politica" a seconda che si usi minuscolo o maiuscolo. Leggevo Angelo Panebianco sul "Corriere" che parte nei suoi ragionamenti, pensando al Quirinale ed al dibattito che ormai è vivo - e lo è in verità da anni - sulla politica dei politici e su quella dei tecnici. Per capire il senso, ecco l'incipit del suo articolo: «Ci sono due domande rispondendo alle quali diventa possibile chiarire quale sia la reale posta in gioco nella partita del Quirinale. La prima domanda è: perché alcuni auspicano e altri (a occhio, molti di più) temono che, una volta eletto il Presidente della Repubblica, il governo Draghi lasci il posto - con o senza elezioni anticipate - a un altro governo questa volta totalmente controllato dai partiti? All'apparenza non ci sarebbe niente di male: non è forse la regola in democrazia? Perché l'eventualità che un governo siffatto si formi getta nello sconforto tanti italiani nonché chi, fuori d'Italia ci chiede stabilità e affidabilità? Questa prima domanda è collegata a una seconda: esiste un criterio, non banalmente moralistico, per distinguere la "buona politica" dalla "cattiva politica"?». La prima domanda mette in gioco l'eterna discussione sul cosiddetto "governo dei tecnici". Poco importa che il suddetto sia un animale inesistente, mitologico (come l'Unicorno o il Minotauro). Poco importa che già all'inizio del Ventesimo secolo Benedetto Croce sbertucciasse chi non capiva che i governi dei tecnici non esistono. Il cosiddetto governo dei tecnici è semplicemente un governo guidato da un "intruso" (anche lui un politico ma che, per storia personale, non è stato allevato entro le consorterie politiche esistenti). Se non che, l'intruso, soprattutto se di qualità, non è lì per uno scherzo del destino. E' lì perché le consorterie in questione (i partiti), non sono state in grado di dare vita a soluzioni di governo efficienti, all'altezza della situazione di emergenza che il Paese deve fronteggiare. L'alternativa non è mai fra governo dei tecnici e governo "politico" o dei partiti. L'alternativa è solo fra governi all'altezza e governi non all'altezza». Più avanti Panebianco mette i piedi nel piatto: «Ciò ha a che fare con la seconda domanda: cosa distingue una buona da una cattiva politica? E perché sono (siamo) quasi tutti convinti che, non più tenuti a bada dall'intruso, difficilmente i partiti riuscirebbero a fare una buona politica? Che cosa è una buona politica? E' una politica in grado di mantenere un certo equilibrio fra la soddisfazione di interessi di breve termine e il perseguimento di interessi di medio-lungo termine. E' una politica che rinuncia a consumare oggi tutte le uova disponibili (ne consuma solo alcune) in modo da avere qualche gallina domani». Sono molto d'accordo e non è facile su questo sfuggire alla tentazione che ci voglia "l'uomo forte" - come vogliono i multicolori presidenzialisti alla valdostana - come unica chiave di lettura. Su questo Panebianco estremizza per farsi capire: «Il punto debole delle democrazie è che in esse l'orizzonte temporale della politica è sempre relativamente ristretto, vincolato dalle scadenze elettorali e dai cambiamenti negli equilibri parlamentari. Gli autocrati, come il cinese Xi Jinping, non hanno gli stessi vincoli. Il loro orizzonte temporale è più ampio. La ristrettezza dell'orizzonte temporale in democrazia fa sì che i politici debbano sempre preoccuparsi di soddisfare interessi (partigiani) di breve termine, dare soddisfazione alle richieste qui e ora dei loro elettori. Coloro che, sotto sotto, lo sappiano o no, disprezzano la democrazia, li accusano di andare "a caccia di voti". E' certo che lo fanno, ed è anche giusto. E' questa l'essenza della democrazia. Il problema è un altro. La (necessaria, inevitabile) soddisfazione degli interessi partigiani, degli interessi a breve termine degli elettori, può essere resa compatibile, nell'azione di governo, con il perseguimento di obiettivi di più lungo respiro? La politica consuma qui e ora tutte le uova disponibili oppure ne lascia intatte alcune in modo che domani circoli qualche gallina?». Il finale è un vademecum per la democrazia in crisi: «La differenza fra una cattiva politica (vengono soddisfatti solo gli interessi a breve termine) e una buona politica (c'è equilibrio fra interessi a breve e a medio termine) non dipende dalla "bontà" o dalla "cattiveria" dei politici. Dipende dall'esistenza o meno di strutture e meccanismi che facilitino oppure ostacolino la buona politica. Se l'orizzonte temporale della democrazia è necessariamente più ristretto di quello dei dispotismi, è ugualmente possibile, in certe condizioni, contemperare interessi di breve e medio termine. Ciò accade nell'uno o nell'altro di due casi. Se il sistema istituzionale premia la stabilità di governo e dà all'esecutivo, oltre che la durata (una legislatura o più), anche gli strumenti per attuare le sue politiche vincendo le resistenze dei tanti poteri di veto esistenti. Oppure se, in alternativa, esistono forti organizzazioni di partito in grado di dare continuità all'azione di governo e di perseguire, in virtù della loro forza, mete che non si risolvano solo nel soddisfacimento di interessi immediati». Riflessione utile per una Valle d'Aosta che guardi al futuro, senza dimenticare il presente così difficile e base su cui guardare all'avvenire che non sia nella logica "mordi e fuggi".