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09 nov 2022

Pensando all’Iran

di Luciano Caveri

Il velo islamico venne abolito in Iran nel 1936 da Reza Shah Pahlavi, il famoso Scià di Persia, defenestrato nel 1979 da quella rivoluzione islamica che avrebbe dovuto portare nuovi valori e - per chi ci credeva… - maggior libertà e invece ha significato una crescente condizione di oppressione attraverso una vera e propria dittatura per il popolo iraniano e grandi vessazioni verso le donne trascinate indietro rispetto allo status che avevano ottenuto. Questo ha significato per loro diritti negati e il velo obbligatorio, diventato e vissuto sempre di più come un simbolo di sudditanza. Mi ricordo quando Romano Prodi a Bruxelles ci raccontava di questo Paese di una bellezza straordinaria e ci lasciava interdetti con questa storia delle piste di sci con due skilift, uno per le donne è uno per gli uomini con le donne costrette a sciare con il volto coperto. E io ricordavo le manifestazioni studentesche della seconda metà degli anni Settanta con parte della Sinistra italiana - di certo i giovani comunisti - che con il solito antiamericanismo inneggiavano al ritorno in patria di Khomeyní, allora esule a Parigi amato dalla gauche caviar che prese uno dei peggiori abbàgli per chi divenne poi Guida suprema dell'Iran dal 1979 al 1989 con un feroce uso del peggior fondamentalismo. Ora e non per la prima volta dal mese di Settembre le donne iraniane hanno scatenato una protesta che è diventata ribellione e ciò è avvenuto dopo l’uccisione di Mahsa Amini, una giovane uccisa dalle guardie della rivoluzione islamica perché portava in modo sbagliato il velo. Da allora le proteste e la violenta repressione. Su Il Mulino Shirin Zakeri, ricercatrice e docente di Medioriente e Iran contemporaneo alla "Sapienza"-Università di Roma, ha tracciato alcuni aspetti della vicenda. Prima di citarla noto come l’attenzione occidentale sui fatti in corso si stia raffreddando e come certe piazze protestatarie in Italia siano state assenti. Ecco qualche passaggio dell’articolo: “Sebbene all’origine ci siano le rivendicazioni femminili per la libertà, contro il controllo del corpo femminile e contro il velo obbligatorio, ora le proteste si sono allargate, al di là delle questioni femminili, enfatizzando parole come libertà e vita. Lo slogan principale - “Donna, vita e libertà” - ha dato un’atmosfera vigorosa e nuova rispetto alle proteste precedenti: è uno slogan che sfida un sistema patriarcale e che va contro alcune leggi discriminatorie della Repubblica islamica, soprattutto in merito alle disuguaglianze di genere e ai pari diritti. La centralità del discorso femminile e la sensibilità del popolo iraniano verso l’immagine della donna, nonché la consapevolezza sui regolamenti non più tollerabili nella società iraniana, hanno dato un maggior peso critico contro l’intero sistema socio-politico”. E ancora: “È la nuova generazione che ha sostenuto la continuità delle proteste. La generazione su cui sono stati investiti tanti fondi pubblici per avvicinarla ai principi della Rivoluzione islamica È la nuova generazione che ha sostenuto la continuità delle proteste. Proprio la generazione su cui sono stati investiti tanti fondi pubblici per avvicinarli ai principi della Rivoluzione islamica; il che, a fronte delle proteste di queste settimane, mostra il fallimento dello stesso sistema ad educativo-ideologico iraniano”. C’è da sperare che questa protesta fattasi speranza sortisca effetti positivi e serva anche a noi che viviamo in uno Stato di diritto per interrogarci su come in parti delle comunità islamiche che vivono anche in Europa, ci siano e vengano tollerate come se fosse accettabile nel nome del relativismo culturale, situazioni di discriminazione verso la donna. È bene parlarne per non essere ipocriti e piangere su vicende distanti, distogliendo lo sguardo per quanto avviene vicino a noi.