All'ora della tragedia, dieci anni fa come domani, ero alla Camera dei Deputati a Roma per intervenire in un dibattito sulle vicende dolorose della Jugoslavia. Le prime notizie per telefono non davano affatto conto della reale drammaticità dei fatti e delle dinamiche che portarono ai trentanove morti e alla chiusura per anni del traforo. Seguii poi le vicende nelle mie funzioni parlamentari e al Parlamento europeo fui promotore di quella direttiva sulla sicurezza dei trafori stradali che tenne conto del rogo del Bianco per evitare che mai si ripetessero circostanza del genere. Dieci anni dopo, manifesto due dispiaceri. Il primo è l'interdistanza, vale a dire l'obbligo di mantenere nel tunnel un certo numero di metri fra un mezzo e l'altro per limitare conseguenze in caso di incidente. Le attrezzature tecniche per sanzionare chi viola l'obbligo restano ancora sperimentali e non consentono di dare le multe e ciò a detrimento della sicurezza. Il secondo è la modifica degli accordi internazionali che prevedevano una società unica: gli interessi di mantenere doppie cariche e la circostanza che è un privato che controlla la società italiana, mentre quella francese è pubblica, hanno perpetrato il paradosso e i costi di due società su un solo traforo.