Sessantacinque anni fa moriva Émile Chanoux. La sua fu l'uccisione dell'esponente valdostano di maggior spicco dell'antifascismo locale per la sua visione prospettica, il carisma naturale e la capacità organizzativa. Il suo martirio ha assunto un valore ideale e una forza che hanno attraversato il tempo, come solo i simboli sanno fare. Ritrovo in alcune carte di mio zio Émile Caveri, internato poi in Germania e ingegnere alla "Cogne" nel dopoguerra, alcune missive inviategli da Chanoux nel periodo del militare, che testimoniano dell'uomo - in questo caso dell'amico - nella sua quotidianità. Una dimensione privata che con la dimensione pubblica e quella politica ci restituiscono l'immagine di una persona che diventa un esempio malgré lui, nel senso che avrebbe certamente desiderato vivere e restare il faro della libertà reclamata dai valdostani. Infatti la sua dimensione eroica è scevra della retorica - che nulla avrebbe avuto a che fare con il federalismo personalista - di una "bella morte" e ha la sua incisività nell'evidenza scolpita nella nostra storia di una parabola drammatica, con la lucentezza di una stella cadente nel buio di un regime dittatoriale, di chi sa morire, con la tenacia di una dirittura morale, per difendere le proprie convinzioni.