Il concerto di Ennio Morricone al castello di Fénis è stato interessante per due ragioni. La prima, banalissima, è vedere al lavoro un grande musicista e direttore d'orchestra con alcune sue musiche, colonne sonore di film importanti, di grande successo. La seconda è che un centinaio di coristi valdostani hanno cantato alcuni di questi brani con un'efficacia impressionante. So che sono state prescelte persone che sapessero leggere gli spartiti musicali, vista l'ovvia complessità delle esecuzioni. Quel che mi è parso interessante è la metafora che sembra esprimersi con questa esibizione. Coristi di cori che cantano prevalentemente un patrimonio musicale tradizionale e autoctono sono stati posti di fronte alla necessità di saper eseguire qualche cosa di profondamente diverso, in un ponte ideale fra passato e modernità. Hanno dimostrato, come dovrebbe essere in politica, che - forti di esperienze maturate in un radicamento locale - si può essere in grado di interpretare brillantemente i cambiamenti senza arroccarsi per forza a rischiose logiche di esclusiva conservazione, spesso un impedimento al governo efficace delle modificazioni in atto.