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13 ago 2009

Dicono di me

di Luciano Caveri

Periodicamente torna la notizia - che non capisco alla fine quale grande scoop sarebbe - di un mio possibile abbandono del seggio in Consiglio Valle, inteso suppongo come dimissioni quale fine volontaria della mia carriera politica. Ogni volta - che noia! - mi tocca smentire, anche se so già che la "voce" tornerà inevitabilmente. La causa è la costanza del cretino, che nel caso del giornalismo, terreno talvolta per consentire lo sfogo a belle mediocrità, vuol dire cavalcare la "non notizia" e dimostrare caparbia resistenza anche rispetto alla smentita più decisa. Perché dovrei andarmene dal Consiglio Valle? Per far piacere a chi? Chi mi conosce sa che, immodestamente, ritengo che essere consigliere "semplice", benché sempre un onore (ci mancherebbe altro!), sia un tantino sprecato rispetto alle esperienze precedenti, che ho fatto beninteso grazie alla ripetuta fiducia dei valdostani.

Penso che questa esclusione abbia fatto parte di un disegno preparato a tavolino e non ne sono niente affatto stupito. Non capisco, anzi capisco benissimo, ma mi adeguo. La condizione di consigliere è comunque un impegno, che va onorato, come dicevo, e al quale mi attengo con piacere e con senso del dovere in aula e in Commissione. Sarebbe da stupido fare il sostenuto o immaginare un beau geste che forse sarebbe solo il compimento del disegno altrui. Vedete: ogni delusione o doccia fredda fa bene nella vita e l'ho sempre predicato. Serve ad autocentrarsi e anche a pensare a ragioni e motivi di tanti - lo posso dire? - sputtanamenti. E' incredibile come, volendo, si può far passare, nel tam tam di una vulgata malevola, una persona per un'altra. Chi vivrà vedrà. Restano, in fondo, problemi e argomenti da risolvere. In questo senso, non bastano chiacchiericci e furberie. Contano i fatti concreti e quelli si vedono o no, ci sono o non ci sono. Le bugie hanno le gambe corte. Un ultimo elemento: tutto questo ambaradan è il contrario di una mia idea radicata. Le piramidi egizie, con un vertice solitario che grava su di una vasta base nulla hanno a che fare con una logica democratica. A mio avviso ciò porta a privilegiare, usando una metafora calcistica, il gioco di squadra: un'équipe non mortifica nessuno. E' insensato giocare da soli in un gioco forzatamente collettivo. Questo vuol dire che bisogna evitare di trovarsi spompati come avviene a quei fantasisti che attraversano il campo, un dribling dietro l'altro, arrivando ubriachi al momento del tiro. E se non segnano, alla fine, ci rimette la squadra intera.