La Fontina è ormai tutelata dall'Europa, in ciò assumendoci onori ed oneri. La "denominazione d'origine protetta", infatti, lega la produzione al territorio e ciò ha consentito strumenti giuridici per contrastare la piaga delle imitazioni e ha posto regole utili per rendere coordinata la produzione. Poi, fra di noi, possiamo fare tutti i distinguo sul gusto d'antan, sui produttori migliori, sugli alpeggi più o meno validi, sulle latterie capaci o no, ma per l'esportazione ci vuole compattezza.
Certo la Fontina, con uno spot pubblicitario, vuol dire:
- mucche tipiche di tre razze autoctone, che da millenni sono espressione di un allevamento tradizionale;
- il latte impregnato dalla ricca flora montana composta da essenze botaniche pregiate, che sono nel foraggio e le caratteristiche migliori dell'erba e dei fiori di montagna entrano nel formaggio;
- questa erba è priva di pesticidi e antiparassitari diversamente da altre zone;
- il latte risulta ricco di vitamine e aromi, che restano nella Fontina non essendo il latte né scremato né pastorizzato nell'uso di tecniche antiche.
Ciò obbliga a fare attenzione a malattie come tubercolosi e brucellosi: attorno alle campagne di profilassi hanno sempre agito i "furbetti", che rischiano di rovinare un intero comparto. Ricordiamo le regole fondamentali della produzione, avendo già detto di vacche e loro alimentazione: il latte deve essere lavorato entro due ore dalla mungitura, per farlo coagulare si utilizza caglio di vitello, nel giro di un'ora il latte è rappreso e viene lavorato per renderlo omogeneo. Tolta dalla caldaia, la cagliata è pressata per far sgocciolare il siero e inserita negli stampi ed il formaggio è pronto per la stagionatura con le sue regole di conservazione. Tutto fila liscio se tutto resta nelle regole nel rapporto fiduciario fra produttore e consumatore, che si può incrinare in un secondo, e sono guai per la vendita. Nel tempo - a rendere solida una lavorazione tradizionale - si è affermata una legislazione di diversa fonte, che ha aiutato la fontina e ha visto la nascita di organismi di tutela, come il "Consorzio", mentre la "Cooperativa" si occupa della raccolta, stagionatura e commercializzazione della Fontina. Sin qui tutto bene, aggiungendo però che l'agricoltura valdostana ruota quasi del tutto attorno alla zootecnia e questa dipende prevalentemente dalla Fontina e dalle sue vendite. Assioma semplice e illuminante. Ecco perché non si può sgarrare, sapendo che bisognerà sempre più in futuro contare sugli esiti del mercato e delle vendite e meno da quegli aiuti pubblici, che hanno creato fenomeni nefasti che oggi pesano sulla schiena della nostra agricoltura. Far finta di niente sarebbe sbagliato e nocivo: la serietà è un caposaldo e la ricerca del consenso elettorale, se piegata al "particolare", può essere una brutta bestia se non serve il bene comune.