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29 ago 2010

I novant'anni di Bocca

di Luciano Caveri

Giorgio Bocca compie novant'anni e "L'Espresso" dedica uno special al suo vecchio giornalista, "ambientato" nella sua casa di La Salle in mezzo alle amate montagne valdostane. Ricordo quando "L'Espresso" era un lenzuolo in bianco e nero cui mio padre era abbonato e sin da ragazzino leggevo Bocca con la sua prosa asciutta e incisiva. Che avesse un caratteraccio da cuneese lunatico me lo raccontava mio papà che faceva fondo con lui da giovanissimo all'inizio degli anni Quaranta nel "Guf - Gruppo universitario fascista" e lo posso confermare io stesso che per qualche mese, a "Radio Reporter 93" di Torino fra il 1978 e il 1979, ero incaricato di telefonare a Bocca una volta la settimana per registrare una sua rubrica ed era piuttosto burbero con il giovane cronista che ero. Mio zio Ulrico Masini, suo coetaneo, era stato comandante di una "banda" di "Giustizia e Libertà" ed aveva conosciuto Bocca - come partigiano delle stesse formazioni - nel secondo dopoguerra, confermando nel suo giudizio quel carattere un po' agro. Bocca, in una foga di scrittura senza eguali dovuta ad un'incessante capacità di produzione, ha spesso parlato della Valle d'Aosta con intensità e trasporto, segno di un'affezione profonda, per poi talvolta inciampare in autentiche banalizzazioni dovute forse a questa sovrapproduzione editoriale. Resta il solo "grande vecchio" del giornalismo italiano con una vena di pessimismo crescente per chi lo legge, come me, con regolarità da una quarantina d'anni e la sua senescenza, che ne ha marcato i tratti da contestatore "tordu",  è comprensibilmente amara per un'Italia senza bussola. Per altro l'"antitaliano", come si autodefinisce nel titolo della sua rubrica settimanale, pur avendo avuto i suoi via vai politici che lo rendono fallibile come tutti, non ha certo torto nell'osservare il degrado soprattutto morale dell'Italia.