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27 set 2010

Roma, Caput mundi

di Luciano Caveri

Che sia chiaro che il "federalismo fiscale" - refrain di questa stagione che sembra un magico elisir - nasce alla fine degli anni '50 negli Stati Uniti per giustificare l'intervento perequativo dello Stato federale come compensazione fra le risorse fiscali degli States più ricchi e meno ricchi, dunque è da considerarsi come una svolta centralista nel cuore del federalismo "politico" americano (leggeremo questo e altro in un libro sul federalismo fiscale di prossima pubblicazione del professor Piero Giarda, "ami de la Vallée d'Aoste"). Ciò dimostra come la materia vada maneggiata con cura senza creare illusioni proprio in chi crede nel federalismo e magari pensa ingenuamente che la rivoluzione federalista sia ormai avviata. D'altra parte, direi che a confermare l'inesistenza di una reale ondata federalista in atto ci pensa, come il cacio sui maccheroni, il freschissimo decreto legislativo su "Roma Capitale". Questa bizzarria, che offre a Roma uno status differenziato con riferimenti ridicoli alla situazione di Washington, è come la pietra tombale del federalismo, il cui presupposto è invece quello di sradicare il centro, creando una logica policentrica e diversi livelli di sovranità che scompone il vecchio Stato per dar vita ad un nuovo Stato federale. La logica della Capitale, con la "c" maiuscola, rafforza invece lo Stato tradizionale, chiamato unitario come antitesi ad una visione federalista ("e pluribus unum" è il motto federalista americano) che dimostra che in Italia, come ben evidente dall'ultima Finanziaria che umilia la democrazia locale, siamo in piena controtendenza. Si parla di federalismo e si persevera lungo la strada inversa, creando un federalismo "en travesti". Il vecchio professor Gianfranco Miglio, del quale ricordo magistrali lezioni sul federalismo nella Bicamerale per le riforme di cui fui io stesso membro (che ebbe all'esame la mia proposta di riforma costituzionale per un'"Italia Repubblica federale") e con cui instaurai un rapporto amichevole, assisterebbe con curiosità - e senza lesinare quei commenti taglienti che gli erano propri - a questa metamorfosi di un federalismo senza nerbo diventato "all'italiana".