Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
06 gen 2018

Treinadan!

di Luciano Caveri

Oggi il primo pensiero dopo la notte di San Silvestro (Papa-Santo del '300 senza gloria, se non la posizione fortunata sul calendario) è anzitutto beneaugurale e rivolto verso chi, per abitudine o per caso, si trovi a leggere queste mie righe. Lo esplicito attraverso il mio personale «Treinadàn», antico motto usato in queste ore dai valdostani, che nell'incontrarsi devono essere svelti per scherzo nel precedere nel saluto il proprio interlocutore con questa formula. Espressione che riporta al latino «strena» e cioè ad un piccolo dono - travolto dalla bulimia del Natale - che ci si faceva un tempo ed era anche un augurio.

Così ricorda il calore della dimensione famigliare una poesia di Arthur Rimbaud: «Ah! Quel beau matin que ce matin des étrennes! Chacun, pendant la nuit, avait rêvé des siennes Dans quelque songe étrange où l'on voyait joujoux, Bonbons habillés d'or, étincelants bijoux, Tourbillonner, danser une danse sonore, Puis fuir sous les rideaux, puis reparaître encore! On s'éveillait matin, on se levait joyeux, La lèvre affriandée, en se frottant les yeux... On allait, les cheveux emmêlés sur la tête, Les yeux tout rayonnants, comme aux grands jours de fête, Et les petits pieds nus effleurant le plancher, Aux portes des parents, tout doucement toucher... On entrait!... Puis alors, les souhaits... en chemise, Les baisers répétés, et la gaîté permise!».

Resta più in generale, come strenna, l'auspicio che ci trasmettiamo gli uni con gli altri, come una sorta di collante della comunità, cominciando da familiari, amici e conoscenti. Certo, nel passaggio d'anno, ci sono cose che non si usano più. Penso - perché stamattina è di prammatica, essendo il 1° gennaio comunque un capo da superare - all'agenda o agendina che si adoperavano una volta per scriversi le cose. Ne avevo due: una grande da scrivania ed una da tasca, che serviva anche per portarsi appresso i numeri di telefono, quando neppure si sapeva cosa fosse l'eterna connessione che oggi ci tiene al guinzaglio. Ne ho trovata una di quelle grandi della metà degli anni Novanta l'altro giorno, quando ero deputato, e ci appuntavo sopra la mia vita con tratti minimalisti ed era davvero una vita che era un tourbillon. Non so quando diavolo l'ho dismessa per passare ad un'agenda elettronica. Se ricordo bene devo avere convissuto con cartaceo e digitale per prudenza verso una nuova tecnologia ancora avvertita come potenzialmente insicura. Mentre oggi la mia vita ce l'ho qui dove scrivo ora questo mio post targato "2018" e mi porto appresso tutto quello che stava in agende ed agendine. Tra l'altro anche su questo appuntare quotidiano idee e pensieri mi chiedo ogni tanto se non sia il caso di piantarla lì o intanto rinnovarlo un pochino come annuncio da tempo, ma poi questo restyling è rimasto sempre fra le cose in sospeso. Lo annoto mentalmente - esercizio mnemonico sempre più raro - fra le cose da fare e non rinviare... Altro scomparso è, per logica conseguenza, il calendario da muro. Ultimamente l'ho rivalutato, mettendolo a polla posta su di una parete del mio ufficio. Dedicandomi ad un rito quotidiano infantile quanto inutile: ritagliare con un colpo di forbice la giornata trascorsa, facendo del calendario martirizzato una specie di conto alla rovescia che mi dà il senso visuale e grafico del tempo che passa. Ne comprendo da solo l'assoluta inutilità. Ma in fondo qualche cosa di scaramantico deve pur restare in queste nostre vite regolate e scandite da mille obblighi in parte imposti e in parte da noi stessi creati per dare un senso alla nostra esistenza. Intanto, buon 2018, poi si vedrà che cosa ci riserverà...