Ho il rimpianto, quando ero già ragazzo, di non essermi fatto raccontare bene dal mio nonno materno, Emilio Timo nato e cresciuto nell'entroterra di Imperia, le sue avventure di guerra in uno squadrone di cavalleria nel 1911 in Libia e poi, fino a diventare ufficiale, nella prima guerra mondiale. Lo dico ai giovani che mi leggono: parlate di più con i vecchietti prima che sia troppo tardi. Noi, come nipoti, il nonno lo ascoltavamo distrattamente da bambini, per cui i ricordi delle battaglie raccontate tornano alla memoria confusi e sovrapposti. Ma della Libia arriva da quel passato la crudezza dei racconti degli scontri e l'esotismo delle avventure. Quel Paese, che ha subito il nostro colonialismo, ha avuto dal 1969 un dittatore, feroce e ambiguo (bastino gli acclarati legami con il terrorismo internazionale e che lui, ebreo di madre, sia antisemita manifesto), Muammar Gheddafi, "sdoganato" anche dall'Italia in un crescendo d'accondiscendenza che ha nel petrolio la sua chiave di lettura ed è culminato negli indegni spettacoli romani di pochi mesi fa. Per questo esponenti governativi italiani, verbosi e propositivi per la Tunisia e l'Egitto e infine plaudenti per la "cacciata" di anziani dittatori, ora tacciono attendendo gli eventi, mentre una repressione feroce schiaccia la protesta.