Ricordiamo i fatti: il 17 marzo del 1861 venne promulgata ufficialmente la prima legge dell'ottava legislatura (il conteggio era iniziato a partire dall'8 maggio 1848, dopo lo Statuto albertino), la prima dell'Italia unificata. Si legge nel testo: "il re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di re d'Italia". La scelta di questa data per ricordare i 150 anni dell'Unità d'Italia, dato storico inoppugnabile, appare ovvia, ma sul fatto di considerarla "festa nazionale" ieri il Governo ha incassato il "no" dei Ministri leghisti, che dovevano lanciare al proprio "pueblo" un elemento di dissenso dopo un'accondiscendenza sempre più imbarazzante e con qualche mistero, che prima o poi verrà a galla, verso Silvio Berlusconi. Intendiamoci: il decreto legge sulla festività è quantomeno tardivo e mostra uno stato confusionale e la festa "si appoggia" per la copertura finanziaria alla temporanea sospensione dei benefici per il 2011 del 4 novembre quale "festività soppressa" (un arzigogolo degno della legislazione borbonica più che... sabauda). Ma quel che conta, comunque si veda il 17 marzo, è che la tiepidezza verso la data è così manifesta da non essere mai stata considerata degna di essere una festa nazionale per la Repubblica italiana. Per cui, chi oggi gongola per questa data, dovrebbe chiedersi perché non facesse parte del "Pantheon" delle celebrazioni patriottiche, che già in Italia - cartina di tornasole di un senso dello Stato flebile - interessano più per i possibili "ponti" che per il loro contenuto.