Ho conosciuto Piero Squarzino, di cui si sono svolti i funerali ieri ad Aosta, nella sua attività di volontariato al carcere di Brissogne. Ci sono incontri utili per formarsi un'opinione e per guarire da certi pregiudizi. La popolazione carceraria della prigione valdostana, da molto tempo solo maschile, vive una situazione ben nota: sovraffollamento con una larga prevalenza di extracomunitari, periodi di un forte e rapido ricambio dei detenuti, mancanza di soldi nell'Amministrazione statale e ciò si riverbera sugli organici della Polizia penitenziaria e del personale amministrativo con punte drammatiche per la sanità (ormai regionalizzata). Per non dire di un degrado evidente di una struttura con gravi vizi costruttivi (le "carceri d'oro" di triste memoria) e senza elementari lavori di manutenzione. Squarzino, senza retorica, pietismi e con piglio manageriale, segnalava due aspetti importanti: il lavoro in carcere come elemento contro il degrado e l'alienazione e la formazione scolastica e professionale come occasione di crescita nel rispetto dei principi costituzionali (articolo 27, comma 2: "L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva" e comma 3: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato"). Tutto ciò raccontando con serietà successi e insuccessi dell'esperienza in carcere: per questo è una perdita per il mondo del volontariato (quello vero) e per la nostra Valle in un settore delicato. Il carcere di Brissogne, infatti, ha finito per essere, nelle dimensioni attuali rispetto alla piccola prigione della Torre dei Balivi, una struttura imposta dallo Stato sul nostro territorio, ma essendoci non ci si può "foderare gli occhi di pelle di salame".