Nessuno in passato - ed è una storia che ho vissuto tutta - avrebbe dato un soldo di cacio al fatto che il computer sarebbe diventato così importante nella nostra vita. Quando dico "computer", mi riferisco ormai alle diverse e sempre più rapide apparecchiature che ci consentono di fare un sacco di cose nel lavoro e nel tempo libero. Questa evoluzione ha un impatto importante sui giornali cartacei, che oggi vivono una doppia identità: all'edizione in vendita nelle edicole, ma ormai leggibile in abbonamento sul Web, si sommano edizioni on line che mettono assieme diverse forme di multimedialità. Guardavo con curiosità in queste settimane il settimanale "Panorama", in una fase di rilancio dopo un calo di consensi che immagino sia stato dovuto principalmente all'eccessiva militanza a favore di Silvio Berlusconi (proprietario della "Mondadori"). Scorrendo la nuova impostazione, ci si accorge di come prosegua nei giornali la tendenza all'impaginazione che insegue le pagine Internet. Si tratta di un'operazione comprensibile, ma che - nel caso di "Panorama" - rende fittissime e difficilmente leggibili le pagine e costringe, anche nella logica di rendere accattivante la grafica, ad articoli sempre più brevi, che spesso risultano troppo scarni, se non incomprensibili, nel progressivo sfrondamento per "starci dentro". Credo che sia dimostrazione che sotto il cielo del giornalismo regna una gran confusione e questo avviene non solo nei giornali, ma nelle televisioni e nelle radio. Siamo in un'epoca di transizione con due ulteriori complicazioni: i social network che trasformano tutti in giornalisti nel bene e nel male; ciascun utente non è un soggetto passivo (e fedele ai propri media), ma si aggira attivamente a fare il suo giornale saltabeccando sul Web o facendosi la sua televisione attraverso i filmati sulla Rete e può fare la stessa cosa con la radio. Insomma, si capisce poco e la reazione degli editori è semplice: o stare fermi in un mondo in cui le tendenze sono come una pallina che salta dentro una roulette e bisogna aspettare che si fermi oppure - come fa "Panorama" - osare, ma con il rischio di non venire più comprato. Idem per il mestiere di giornalista, che diventa ormai un insieme di tanti mestieri e di troppe "invasioni di campo", da risultare ormai difficile da capire. Mentre un tempo il "chi fa che cosa" e i contratti erano chiari e definiti, oggi chi ci capisce è bravo. Questo vale anche nella nostra piccola Valle e anzi l'editoria locale è ancora più difficile da capire, sapendo che la curiosità del lettore (telespettatore ed ascoltatore) per quel che gli capita accanto non passerà mai. Ma costi, raccolta pubblicitaria, evoluzione tecnologica non sono terreni che facilitano qualità e pluralismo. Vedremo cosa avverrà alla fine di quest'epoca di transizione.