I fatti sono noti, anche se la storia è ancora in pieno svolgimento. Ricordo gli antefatti: attorno alla riforma del sistema autonomistico valdostano si sviluppa nel "Consiglio permanente degli Enti locali - Cpel" un confronto che porta ad una situazione "di accerchiamento" del presidente Elso Gérandin da parte di sindaci "fedeli" alla linea in materia del presidente Augusto Rollandin. Gérandin decide di dimettersi e oggi sapremo nell'Assemblea dei sindaci come andrà a finire la storia, che diventa sin dall'inizio esemplare del problema dei rapporti interni nell'Union Valdõtaine per chi non si adegui alla linea tracciata. Per altro - commento io - quale sia la linea sugli Enti locali non è sinora del tutto chiaro, per cui io stesso non ho accettato sull'argomento del riordino dei Comuni e affini la scelta prudenziale ma vincente per il quieto vivere del «non capisco, ma mi adeguo», espressione pura di un centralismo democratico a prova di bomba. Quattro esponenti unionisti, Tonino Fosson, Laurent Viérin, Andrea Rosset ed il sottoscritto lamentano in una lettera al presidente unionista Ego Perron gli atteggiamenti verso Gérandin, al quale esprimono la loro solidarietà politica, inserita in un quadro preoccupante della democrazia interna all'UV. All'indomani del referendum questa lettera, che era stata resa nota sui giornali il giorno prima del referendum, diventa un casus belli perché in una riunione del Gruppo unionista diversi esponenti considerano questa lettera nei contenuti e nei tempi di diffusione una delle ragioni della sonora bocciatura sul pirogassificatore e il tema viene ripreso al "Comité fédéral" di una settimana fa. In diversi interventi gli "accusati" rigettano la tesi e processi politici sommari. Per cui ieri sera, Gruppo e Comité, hanno riempito la sala riunioni dell'Union Valdôtaine in Avenue des Maquisards per ascoltarci in un clima severo ma educato (non lo era stato al Gruppo, dove un consigliere regionale di Pont-Saint-Martin mi aveva simpaticamente minacciato di mettermi le mani addosso nella sua foga retorica). Io ho ridetto cosa penso e riassumerlo qui diventerebbe troppo lungo. In soldoni direi: la lettera non ha influenzato il voto ma ha posto problemi seri, sull'esito del referendum bisogna scavare bene quali siano state le ragioni di chi ha scelto il voto anche per protesta, non si risolvono i problemi fingendo sempre le cose vadano bene per non disturbare, sui temi e sulle decisioni ci vuole condivisione vera e non semplice allineamento, anche in passato il rapporto fra la forza del presidente e la sua mano sul Movimento (anche all'epoca di mio zio Severino Caveri) ha creato guai che hanno portato a rotture e divisioni. Il dibattito è stato vivace. Quale sia l'esito dovessi dire non l'ho ancora capito. Credo infatti che, al di là dell'effetto terapeutico di rompere la regola «il silenzio è d'oro» togliendosi i sassolini dalle scarpe, resti da valutare la realtà e se certe discussioni - cariche di tensioni e di scambi di battute - sortiscano l'effetto dovuto di cambiare certi comportamenti ormai ripetitivi e di riavviare dialoghi che non seguano copioni già scritti in cui chi obietta è in automatico "dissidente". Vedremo le prossime puntate e mi spiace di non riuscire a rendere la complessità della posta in gioco, che è poi un problema di democrazia, che par di capire dal dibattito ha declinazioni molto diverse di un concetto apparentemente cristallino.