Fa strano, quando sei stato per anni seduto sulla sedia dell'Esecutivo, tornare al banco da consigliere semplice. Non è solo questione di cambio di prospettiva o di chissà quale "diminutio", ma è una diversità di impegno e, per così dire, di status. Abituato ad andare veloce e a essere occupatissimo. devi adattarti ad altri ritmi e ad impegni differenti e questo ti consente anche di essere meno chiuso negli uffici e nel circuito delle manifestazioni ufficiali. Per cui, essendoci passato con un mio percorso pur diverso, capisco bene cosa provi in queste ore Laurent Viérin, ora mio "compagno di banco" al centro dell'emiciclo del Consiglio Valle e ieri ci siamo fatti compagnia. L'ho ascoltato in presa diretta nelle sue spiegazioni di perché abbia dato le dimissioni e l'ho trovato convincente e deciso, sapendo che non è facile farlo con un presidente della Regione come Augusto Rollandin, che ha il suo "caratterino". Conosco Laurent da tanti anni per le frequentazioni con suo padre Dino e con i suoi figli, Nicholas e appunto Laurent, che ha fatto la gavetta nella "Jeunesse Valdôtaine" con grande vivacità e ho condiviso con lui bei momenti di "formazione politica", avendo sempre considerato un dovere degli eletti trasferire ai più giovani le proprie conoscenze, che altrimenti sarebbero accumulazione sterile se non fruttassero qualcosa per le nuove generazioni. Poi per lui c'è stata una sorta di staffetta padre-figlio in Consiglio. Con me è infine è diventato assessore, confermato in questa Legislatura. Non è facile in politica essere sulle tracce di un padre importante, perché ci sono certamente vantaggi, ma anche il rischio di un continuo e difficile confronto con chi ti ha preceduto. Per me questa circostanza, con mio zio Severino, è stata solo positiva e non ingombrante, avendo cominciato io dieci anni dopo la sua morte e senza nessun passaggio diretto con i problemi connessi. Laurent, di cui sono stato pure controrelatore nella discussione della tesi di laurea dedicata alle minoranze linguistiche, ha saputo creare uno spazio proprio, dimostrando una sua personalità e nessuno oggi gioca con dei raffronti. Qualcuno al massimo può fare delle battute, ma per chi fa politica avere qualcuno che giochi a far la "satira" - e il termine è pure nobile se comparato a tante scemenze - è come subire una malattia professionale. Oggi si trova - alla stessa età di Matteo Renzi, il "novatore" del Partito Democratico - ad un "punto e capo" della sua vita, dopo aver lasciato la Giunta Rollandin per motivazioni note che conosco e di cui condivido la logica. Quel che mi colpisce in positivo è come quell'appello alla libertà d'espressione che ha rivendicato in questi giorni gli abbia dato un senso di grande serenità. Credo che questo avvenga anche per gli attestati di stima e di solidarietà che ha avuto e che io stesso ho avuto per essere finito con lui, a minor titolo, fra i famosi "dissidenti", che poi sono persone che nell'Union Valdôtaine hanno posto problemi di metodo e di contenuto e non per il gusto astratto di essere "rompiballe" o per chissà quale giochino di potere o per mal di pancia personalistici. Laurent condivide in queste il mio pensiero: non è pensabile che certe riflessioni possano essere ridotte a logiche tra "guelfi" e "ghibellini" (genere "rollandiniani" contro "vieriniani"). E' qualcosa di molto più profondo di una "guerricciola" come sarebbe uno scontro per posizioni, sedie e spazi di comando. Esistono valori, ideali e speranze che non possono essere chiusi in una "camicia di forza" con confronti inesistenti o pilotati. La posta in gioco, in quest'epoca difficile e piena di paure, renderebbe misere visioni anguste e banali, per cui condivido una logica di respiro che fissi capisaldi di un dibattito cruciale che non è guerra di posizione ma ricerca di soluzioni vere e concrete per problemi reali. Il resto non mi interessa.