I tre suicidi nelle Marche, una coppia di coniugi e il fratello di lei, sono stati al centro dell'attenzione in queste ore. Nessun dubbio che la chiave del gesto sia stata la disperazione per uno stato inaspettato di povertà, che ha scosso le loro esistenze, in un periodo in cui il cinismo impera. Viene naturale per chi abiti in Valle d'Aosta sapere che occasioni del genere sono per la nostra comunità come un coltello nella piaga, visto che - pur prendendo le opportune misure rispetto alla particolarità del campione - siamo da tempo al vertice delle statistiche dei suicidi in Italia. Ammonisce Stefano Marchetti dell'Istat: «Le statistiche sui suicidi vanno analizzate tenendo presente alcune importanti avvertenze. Le statistiche prodotte a livello internazionale sui suicidi possono sottostimare il fenomeno a causa, in primo luogo, della difficoltà a individuare il suicidio come causa di morte. In base alla letteratura internazionale, però, tale difficoltà non agisce in maniera selettiva sui diversi gruppi di popolazione e, quindi, non compromette l'utilizzabilità di queste statistiche, con le opportune cautele, per confronti nel tempo e nello spazio. In secondo luogo, è estremamente difficile individuare i motivi che inducono il singolo individuo a togliersi la vita, a causa della natura multidimensionale del fenomeno». E' lo stesso studioso che ha spiegato, dati alla mano, come un certo tam tam di questi mesi e di queste ore sia da prendere con cautela: «E' difficile affermare, a oggi, che vi sia un aumento statisticamente significativo dei suicidi dovuto alla crisi economica. Temo che si stiamo facendo affermazioni forti, senza robuste evidenze scientifiche». Ma il fatto che si sia diffusa l'idea che questo sia avvenuto consente di capire la portata delle percezione e delle preoccupazioni popolari. Insomma su chi decide di uccidersi ci vogliono, sempre e comunque, misura e circospezione nei giudizi, ma è facile appunto anche, uscendo dai numeri della statistica, avvertire da noi la gravità di un fenomeno che ha toccato o sfiorato ciascuno di noi nella propria sfera familiare o nelle proprie amicizie. Ha scritto il grande scrittore francese Albert Camus: «Uccidersi, in un certo senso, è confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa; confessare che non vale la pena. Vivere, naturalmente, non è mai facile. Si continua a fare i gesti che l'esistenza comanda, per molte ragioni, la prima delle quali è l'abitudine. Morire volontariamente presuppone che si sia riconosciuto, anche istintivamente, il carattere inconsistente di tale abitudine, la mancanza di ogni profonda ragione di vivere». Si tratta di un problema, benché resti per molti versi insondabile, specie in Valle, dove antiche logiche culturali accompagnavano il gesto estremo, che ci impegna sempre tutti, in una comunità piccola come la nostra, dove lo Stato sociale dovrebbe avere una chiave di lettura suppletiva, quella di un federalismo dal volto umano.