Certi "casi" recenti della cronaca politica, in cui si denunciano atteggiamenti minacciosi o punitivi per chi non si allinei a certi diktat da partito unico, offrono il "destro" per una riflessione contro chi, al posto del buonsenso necessario per chi si occupi di uffici pubblici, mostri faziosità nel suo agire. Dalle nebbie della commistione eccessiva fra politica e amministrazione è emersa in Italia, come un sole che squarci il velo che offusca la vista, la logica europea di una crescente indipendenza fra i politici e i dirigenti. Una ripartizione che non significa affatto "separatezza", ma - nella continuità dell'azione amministrativa e in un rispetto reciproco e delle regole - va ben definito come esistano una responsabilità della burocrazia ed una del livello politico. Tutto tiene, in questa logica di raggiungere gli stessi scopi, nella distinzione dei ruoli ma per rafforzare l'azione concreta, a condizione che gli uni - i politici - non vogliano "tout faire" e usare i funzionari come marionette e naturalmente vale anche l'inverso con un apparato pubblico che non prescinda dal potere d'indirizzo della politica. Troppo spesso in questi anni in Valle d'Aosta è saltato questo equilibrio delicato e le linee di demarcazione sono state annullate. L'Esecutivo regionale, nelle mani del potere assoluto del presidente, ha fatto saltare internamente e ancora di più nel rapporto con le "Partecipate" (dove la genuflessione verso la politica è completa) ogni logica di assunzione delle proprie responsabilità a vantaggio di indicazioni minute, di ordini imperiosi, di suggerimenti sospetti che fanno troppo spesso dei dirigenti delle "belle statuine" o degli esecutori di ordini eterodiretti. Il momento è venuto per denunciare senza timori omissioni e commistioni. Non è altro che il ripristino della normalità, che è fatto del rispetto delle normative, mettendo in fila con esattezza chi deve fare che cosa in un'elementare logica di legalità. Non lo dico solo per gli obblighi e doveri da seguire da parte della politica, ma perché spetta anche ai dirigenti mostrare dignità e deontologia professionale per evitare che alla neutralità di chi è "civil servant" (impiegato pubblico) si sostituisca l'adesione ad un comportamento "di parte" che violi le regole "ad usum Delphini", cioè per compiacere il potente di turno. Circostanza che tra l'altro non può essere chiamata a propria discolpa nel caso di responsabilità di cui si interessino le diverse magistrature. Tristi considerazioni, pensando a quanto sia necessario rimettere a posto i pezzi sulla scacchiera.