Dai testi che girano in vista del Congrès national dell'Union Valdôtaine, che si svolgerà sabato prossimo, ad Ennio Pastoret - predestinato da tempo alla Presidenza del Movimento, perché scopertosi rollandiniano al momento giusto della sua vita - toccherà anche il compito di far fischiare le orecchie all'Union Valdôtaine Progressiste. E' comprensibile che sia così: si chiama concorrenza e, nel mercato della politica, è giusto che ognuno propagandi il proprio prodotto, utilizzando anche le sgradevolezze della pubblicità comparativa. Trovo, però, che si debba avere - e non solo per i miei lunghi trascorsi nel Mouvement - un grande rispetto (che mi augurerei reciproco), al di là della legittima e talvolta rude competizione politica. L'Union Valdôtaine è un'espressione importante della società valdostana e la mia famiglia e chi scrive credo abbia dato un suo contributo all'UV. Per altro, comportarsi con disprezzo non gioverebbe per nulla alla qualità del dibattito politico, in una Valle d'Aosta che ha bisogno, come il pane, del rafforzamento del confronto reciproco e di nuove forme di progettualità per reggere l'urto con i cambiamenti incombenti. Ecco perché mi auguro che il Congrès non sia una "messa cantata", con un solo officiante che si sovrapponga addirittura all'Altissimo. Di recente sono stato garbatamente citato - ad un dibattito voluto dall'UVP - dal presidente uscente, Ego Perron, che ricordava come io citassi spesso, a mia volta, l'esempio della coesione della SüdTiroler Volkspartei, il partito di raccolta della minoranza germanica nella Provincia di Bolzano-Bozen. Verissimo, ma andava aggiunto un addendo che ho sempre ricordato: il loro sistema prevede meccanismi di pluralismo interno, che consentono rapporti equilibrati. Così anche presidenti forti, come Luis Durnwalder, che per venticinque anni ha governato con forza la Provincia, non sono mai diventati una sorta di dittatore, nella logica di tutto occupare e tutti zittire. Mi piacerebbe che questo pluralismo si evidenziasse nel Congrès che non fosse - lo dico con la simpatia che si deve a dei connazionali - una semplice timbratura di documenti già scritti e di una leadership di partito, scelta per la sua docilità "pensionistica". Il potere, quando diventa autocratico, trasforma l'autorevolezza in autoritarismo e anche il buon pastore accetta di buon grado di diventare oggetto delle bizze del feudatario. Capisco e porto a casa l'obiezione possibile: pensate ai fatti di casa vostra e alle possibili ragioni di critica verso l'UVP. Verissimo, ognuno deve pensare al proprio orticello e non sbirciare in quello altrui. Noi "progressisti" non abbiamo ancora spento la candelina del primo compleanno e dunque siamo ancora degli infanti e lo sappiamo bene che dobbiamo sforzarci, giorno dopo giorno, per crescere bene e questa strada la percorreremo con impegno. Evitando, se ci riusciremo, passi falsi ed errori. E soprattutto avendo un principio cui mai derogare: il federalismo. Émile Chanoux diceva: «...questo diritto a veder rispettata la propria personalità, non è solamente dell'uomo individuo, ma anche dell'uomo organizzato nei diversi corpi sociali». Per cui la democrazia per un federalista - e viceversa il federalismo per la democrazia - non sono, come si dice in patois, "bollion pe le mort", cioè una cosa inutile e pura propaganda, che crea una situazione - sbilenca per chi ne diviene prigioniero - fra il dire e il fare.