Ci si domanda - e lo annoto anche qui di tanto in tanto - delle ragioni che rendono antipatica l'Unione europea. Nel "caso italiano" penso che ci sia l'utilizzo strumentale delle vicende europee, come pretesto per questioni interne. Un esempio lampante è stato, ormai da un decennio, l'uso furbesco dei problemi di bilancio degli Stati "Pigs" (Portogallo, Italia e Irlanda, Grecia e Spagna), cioè quelli che sono stati definiti gli "scolari cattivi" per le brutte condizioni, deficitarie, dei propri conti. Come una "spada di Damocle" sulle loro azioni, sono nati meccanismi di controllo sempre più occhiuti e invadenti, che mirano a mettere la briglia alle spese allegre e alle inefficienze strutturali. Ma, nelle vicende italiane, tutte queste misure sono state nel tempo un pretesto meraviglioso per lo Stato per un taglio forte e sistematico di denaro verso il sistema autonomistico, essendo nelle scelte "più realisti del re", nel senso che si è colta l'occasione per una politica di austerità, che è diventata come la "mordacchia" per chi vuole comandare sul cavallo. Ripeto, fino alla nausea, che questo distingue il debole regionalismo e municipalismo italiano dai sistemi federalisti, dove la sovranità diffusa offusca la logica centralistica, anche in tempi di crisi. Ma, a far montare la carogna, almeno di una parte degli italiani, è stato il dopo elezioni politiche, quando appurato che non esisteva una maggioranza chiara per gli uni o per gli altri si è andati verso la logica delle "grandi intese" attaccate con lo sputo, come dimostrato dalla morte - per mano del suo stesso partito - del Governo guidato da Enrico Letta, che già aveva tribolato a nascere, dando spazio ad un proseguimento del Governo Monti quantomeno irrituale. La ragione per cui non si è tornati alle urne, ben prima che nascesse una volontà riformista che ora è la ragione al centro delle politiche del nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, è stata - un autentico alibi - la Presidenza italiana dell'Unione europea nel secondo semestre del 2014. Questa Presidenza, che conta o non conta a seconda in realtà di come la si adopererà, è diventato l'alibi buono per dire: di fronte all'Europa non si può votare per l'ennesima volta, quando tocca a noi e dunque le "larghe intese" garantiscono quella solidità utile anche per il rilancio in tempo di difficoltà economiche. Per cui - spiace scriverlo - l'uso antipatizzante dell'Europa ha nascosto per un lungo periodo la verità: l'incapacità del Parlamento, forse ora risolta, di avere una nuova legge elettorale che evitasse la situazione di ingovernabilità attuale. Da cui pare che ora si voglia uscire sopprimendo di fatto il bicameralismo, scelta non federalista su cui mi sono già espresso con molte titubanze su questa pagina. Per cui ora non so bene a quale nuovo filone europeistico ci si attaccherà per proseguire con quella strana formula delle "larghe intese", i cui contorni sono così nebulosi da lasciar spazio a mille ricostruzioni e dietrologie. Questo consente di continuare a sognare una democrazia diversa.