Con la ripresa dell'attività nell'Unione europea, dopo le elezioni europee, torna in primo piano la questione di come applicare il "Patto di stabilità" e le sue successive evoluzioni. Tema che tocca nel vivo anche la Valle d'Aosta, che stenta sul punto a negoziare con lo Stato condizioni favorevoli e siamo di certo l'autonomia speciale più tartassata. Si vede che ci sta bene che sia così: la rassegnazione è già una sconfitta. Matteo Renzi chiede a Bruxelles "flessibilità", termine derivato dal latino tardo, che significa, nella sostanza, addolcire certe regole troppo rigide. Ne ha battibeccato ancora in queste ore con l'enfant prodige della politica finlandese, Jyrki Katainen, nuovo commissario agli Affari economici e monetari, che ha detto: «Discutere di una maggiore flessibilità nell'interpretazione del "Patto di stabilità" è pericoloso, è un dibattito sbagliato» e «per l'Italia è più importante varare finalmente le importanti riforme promesse dagli ultimi Governi». Renzi si è arrabbiato e dal Mozambico, dov'è in visita ufficiale per via dei locali affari dell'"Eni" nel settore petrolifero, gli ha risposto per le rime. Uno scontro che penso proseguirà nei prossimi mesi, a dispetto del fatto - si scherza - che entrambi abbiano avuto importanti esperienze nei boy scout. Traggo da "Il Post" un riassunto ben fatto sul "casus belli": "Gli Stati membri dell'Unione Europea devono rispettare una serie di obblighi nei loro bilanci pubblici. Ad esempio la famosa regola che vieta di fare più del tre per cento di deficit. Sono regole pensate per evitare che i singoli Stati membri intraprendano politiche di bilancio troppo sbilanciate e per cercare di armonizzare le economie dell'Unione europea. Il problema è che queste regole sono anche piuttosto rigide: negli ultimi anni di crisi molti commentatori ed economisti hanno scritto che è sbagliato mantenere regole così rigide anche in un periodo di crisi economica: il tema è comunque molto dibattuto. Quello che Renzi ha spesso detto è proprio che bisognerebbe introdurre dei criteri di maggiore flessibilità per dare la possibilità, in alcune circostanze, di derogare a queste regole. Come farlo, però, è tutto un altro discorso. Negli ultimi mesi si sono succedute diverse proposte, quasi mai ufficiali e spesso frutto di indiscrezioni e "voci di corridoio". Una delle più discusse è la possibilità di scorporare dal computo i cofinanziamenti ai progetti finanziati con i soldi europei. (...) Altre proposte riguardano l'esclusione dal computo del deficit del denaro pubblico speso per investimenti, ad esempio quelli in infrastrutture. In passato si è vociferato (anche se nessun esponente di governo ha mai confermato questo progetto) di sforare semplicemente il tre per cento oppure di aumentare il deficit per portarlo dall'attuale 2,6 - 2,8 per cento fino al limite massimo del tre. Negli ultimi giorni, Renzi ha spesso parlato della possibilità di consentire una certa flessibilità ai Paesi che fanno le riforme. Quali riforma e quanta flessibilità dovrebbe corrispondere a quali riforme non è stato ancora chiarito, così come non è chiaro, aldilà delle dichiarazioni, a che punto siano le discussioni su questi temi con gli altri Paesi europei". Non sono questi temi remoti, perché queste regole scendono poi "via via giù per le rami" e investono nel caso italiano Regioni e Comuni, anche se ben sappiamo che lo Stato se n'è approfittato in Italia per usare questo strumento per tagliare tutto il tagliabile negli ordinamenti finanziari regionali e per le finanze comunali con meccanismi paradossali della serie "hai i soldi ma non li spendi". Per cui fa bene Renzi a chiedere all'Unione europea di favorire politiche di rilancio dell'economia e non solo di austerità nuda e cruda. Per ora, però, l'approccio appare più politico che tecnico e Bruxelles penso vorrà avere non solo dichiarazioni di principio ma anche proposte concrete. Una potrebbe proprio essere quella di spiegare che certe tagliole alla spesa delle autonomie locali - le più vicine ai cittadini con le loro politiche di prossimità - agiscono in profondità contro lo Stato sociale e i diritti dei cittadini e delle comunità e rallentano la ripresa non essendoci più a disposizione gli strumenti finanziari di stimolo e di supporto. Ma queste affermazioni non ci saranno, perché contraddirebbe la strada centralista che l'Italia sta intraprendendo anche con le riforme costituzionali in atto.