Ho seguito con interesse l'esito del Sinodo dei Vescovi, svoltosi a Roma. Par di capire, perché si è votato sul documento finale, in latino "Relatio Synodi", che questi lavori si svolgano come avviene in un'assemblea parlamentare. Ed anche il fatto che sul testo base si siano votati centinaia di emendamenti modificativi dà il segno che la similitudine con un consesso legislativo sia piuttosto azzeccata. Pur sapendo della Chiesa quel che ho studiato e letto, confesso che avrei una viva curiosità nell'assistere a lavori di questo genere, tenendo conto che davvero un consesso così ha, come la Chiesa, un respiro universale, raramente rinvenibile altrove. Aspettavo in particolare di vedere che fine avremmo fatto noi peccatori divorziati risposati, visto che appartengo alla categoria. Avevo letto le aperture che sul tema aveva periodicamente espresso Papa Francesco e anche le posizioni diverse annunciate da alti prelati più tradizionalisti. Ero convinto che la forza innovatrice del Papa argentino avrebbe pesato verso una decisione di apertura. Invece, un passaggio del documento finale dimostra che si è deciso di non decidere, proprio per la mancanza dei voti necessari per far passare eventuali novità. Così si legge, laddove si cita la questione, centrale per il suo valore simbolo e anche concreto, dell'Eucarestia: «va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti». I campi erano due: quello del "no" netto perché contrario ad un atteggiamento ormai assestato e chi, invece, proponeva l'ammissione a questo sacramento con la logica di arrivarci dietro ad un "cammino penitenziale". Si sarebbe trattato - così mi ha spiegato un amico addentro a queste questioni dottrinarie - di non avere sul punto una norma di carattere generale, ma di prevedere per ciascun "peccatore" (le virgolette sono mie) un percorso personalizzato che consentisse di definire se la persona fosse o no adatta a essere riammessa in toto nei meccanismi rituali del cattolicesimo. Ma hanno vinto i più tradizionalisti e il Papa, abbozzando, ha sostanzialmente detto «ne riparliamo più avanti» e mi permetto di dire che è comunque stata per lui una battuta d'arresto nel tentativo di modernizzare la Chiesa. Per altro, si sa ed è un fatto oggettivo, che gran parte delle regole dettate nei secoli sono scelte molto umane, come dimostrato con chiarezza da strade diverse che sono state imboccate su diversi argomenti dalla Chiesa ortodossa, dalle chiese evangeliche e dall'anglicanesimo. Tutti cristiani ma con elaborazioni differenti, che hanno creato dissidi e guerre ed anche i cattolici non si sono fatti mancare nulla. Dunque è normale che al suo interno, ma anche nel confronto con un mondo che cambia sempre, il cattolicesimo debba far fronte con modificazioni di norme e atteggiamenti all'umanità e alle società che cambiano. Sapendo che non c'è un pensiero unico, ma a tante posizioni diverse, che devono - esattamente come in politica, anzi è politica - trovare una soluzione unificante. Se non ci si riesce è giocoforza rinviare le decisioni, in assenza appunto di umane (e non divine) formule di compromesso. Insomma, come moltissime persone, sono stato rimandato. Non me ne dolgo, anche perché - nel rispetto di tutti gli altri - ho una mia versione di approccio alla religione, che risente naturalmente della mia formazione cattolica, ma ritiene che nel consesso civile ci siano norme e regole che vanno rispettate senza avere la copertura della religione e del pentimento annesso. Esiste, in questo senso, un dovere di etica "laica", che talvolta chi è stato cattolico proclamato in politica, magari sbandierando le sue idee con esagerata ostentazione (sono, con definizione di Molière, dei "tartufi", che non c'entrano con il profumato fungo), non ha seguito per l’alibi di sentirsi "protetto" altrove. Nei doveri civici sarebbe bene seguire anche il... profano e poi - per dirla tutta - che il sacro sia davvero "perdonista" rischia di essere un azzardo per chi ne fa un abuso.