Quest'anno, tra il centenario dallo scoppio della Prima guerra mondiale e il conto alla rovescia per i settant'anni dalla conclusione della Seconda, non mancano di certo gli spunti per riflettere sul secolo scorso, il Novecento. Ma questa finisce per essere un'occasione per riflettere sul nuovo secolo che stiamo vivendo, che era iniziato con grandi speranze quel 1° gennaio del 2000, che suonava come una svolta. Ricordo a questo proposito la nota definizione del Novecento come "secolo breve", che è del 1994, quando lo storico e scrittore inglese Eric Hobsbawm scrisse un libro con quello stesso titolo. L'autore notò come il secolo risultasse ristretto fra due date: la prima guerra mondiale (1914) non a caso nota come la Grande Guerra e il crollo dell'Unione Sovietica (1991) con lo sconvolgimento di rapporti geopolitici consolidati. Vi era poi, a giustificare la "brevità", la quantità e la densità di eventi del ventesimo secolo e anche gli enormi progressi e cambiamenti tecnologici, sociali, politici ed economici avvenuti in poco tempo. Non mi stanco mai di dire che nessuna generazione come quelle del dopoguerra ha subito tanti di quei "crash test" per via dei cambiamenti da far impressione. Allo scoccare del primo secolo di un nuovo millennio si pensava ad un cambio di marcia della nostra umanità, mentre ora appare sempre più vero quanto scritto dal giornalista e scrittore Enzo Bettiza: "Il Novecento, definito da Hobsbawn "secolo breve", si sta invece rivelando lungo, lunghissimo. Stermini, esodi, carestie, guerre regionali infinite, malattie e miracoli inauditi: non si può costringerlo nella camicia di forza della brevità, facendolo coincidere quasi al millimetro con la durata del comunismo reale. Il secolo passato si è innestato su quello attuale, senza soluzioni di continuità. Ecco perché il nichilismo dolce e pigro di questi anni zero del ventunesimo secolo non può esprimerlo, se non stancamente". Se oggi ci guardiamo attorno non si può che dire che molte illusioni stanno svanendo ed esiste in effetti una sconcertante continuità con un secolo che tutti avremmo avuto voglia di dimenticare per sempre per la sommatoria di errori e orrori. Guardiamoci attorno: la crisi economica e finanziaria morde ancora, in politica svaniscono certezze e riferimenti, è difficile trovare lavoro e sapere cosa consigliare ai giovani per i loro studi. Le Istituzioni sono messe in discussione, che sia una Regione autonoma come la Valle d'Aosta con la sua specialità o l'Unione europea con il suo percorso d'integrazione. Non è la difficoltà di adattarsi alle mutazioni rapide di scenario, quanto la preoccupazione per vuoti che non si riempiono. Ci sono date che inquietano, come l'11 settembre 2001, con gli attentati negli Stati Uniti e quell'estremismo islamico che oggi infiamma il Medio Oriente con una guerra diffusa e un terrorismo sanguinario sull'uscio. E poi in questo secolo abbiamo già avuto le guerre in Afghanistan e in Iraq, oltre a numerose "guerre locali" con nodi insoluti come la vicenda israelo-palestinese. Ora ci mancava la guerra fratricida in Ucraina e una Russia aggressiva che guarda ai suoi ex territori ora Europa. Intanto proprio sul Vecchio Continente si rovescia parte della povertà e del dolore del Terzo Mondo con l'immigrazione dei "barconi", cartina di tornasole della forza delle Mafie che strangolano il mondo. L'Italia ne è un dolente esempio. Tante paure minacciano le nostre vite e ci si mettono pure le sciagure di vario genere e epidemie che periodicamente appaiono. Bisogna, di conseguenza, rassegnarsi al pessimismo? No, grazie. Si tratta, però, di prendere atto della realtà e di rifiutare qualunque forma di edulcorazione, genere indorare la pillola (i farmacisti di un tempo coprivano i medicinali dal gusto cattivo con una pellicola d’oro…). Non è bastato, purtroppo ed era già illusorio, un cambio di calendario a esimerci da tante vicende che ci opprimono.