Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
01 dic 2014

Call center che migrano

di Luciano Caveri

Una volta il mondo legato ad un serie di servizi era a portata di cittadino. Che fosse il telefono, l'acqua, il gas, l'assicurazione o qualunque cosa del genere esisteva uno sportello cui rivolgersi. Oggi tocca, nella gran parte dei casi, quando si ha un problema, rivolgersi ai "call center" (l'italiano "centro chiamate" non ha mai preso piede), nati negli anni '90 come evoluzione dei primi "uffici reclami" telefonici. Ed oggi sono diventati troppo spesso gli interlocutori unici per le diverse necessità nel rapporto fra il cliente e le aziende. Anzi, ad essere precisi, la gran parte dei "call center" sono affidati a società esterne in - altro anglicismo - "outsourcing" e questo vale anche per il settore pubblico, che affida con appalti all'esterno dei servizi informativi di vario genere in favore del cittadino. In Valle penso che l'unica struttura dedicata anche a questo sia la "Engineering" di Pont-Saint-Martin. I call center possono spazientire: anzitutto perché trovo irritanti le attese, le scelte da fare sulla tastiera telefonica per trovare l'interlocutore giusto, il rimando da un operatore all'altro, ma anche perché preferisco vedere le persone negli occhi, quando ho un problema da risolvere. Trovo poi grave questa scelta crescente in Italia di affidare i servizi a società che operano in chissà quale Paese. Rispetto i lavoratori in Italia e all'estero che svolgono questa attività: si sa che esiste una logica che definire "fordistica" fa sorridere e, se già in Italia certe forme di sfruttamento fanno drizzare i capelli, figurarsi cosa avviene laddove non esiste neppure uno straccio di tutela contrattuale e sindacale. Da notare ancora che certe logiche aziendali di "remotizzazione" delle informazioni colpiscono a maggior ragione zone considerate marginali, perché demograficamente e dunque commercialmente poco interessanti, come può essere la Valle d'Aosta, dove mai e poi mai per certe aziende - pensiamo a "Telecom" una volta ben presente sulle tracce della vecchia "Sip" - hanno sul territorio un essere umano con cui interloquire. Leggevo giorni fa sul "Corriere della Sera": "per gli 80mila lavoratori dei "call center" italiani quella di oggi sarà una giornata di sciopero nazionale seguita da una "notte bianca" per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica, ma soprattutto del Governo, sulla loro progressiva estinzione. Una fine che sopraggiunge per paradosso proprio quando il lavoro precario per eccellenza, per il settanta per cento svolto da donne, stava cominciando a assicurare, grazie alla regolamentazione normativa, un certo standard retributivo, qualche diritto in più e persino una qualche stabilità". E poi la spiegazione vera e propria: "il colpevole è l'azienda che apre in Italia per sfruttare la de-contribuzione triennale e poi chiude facendo ricorso ad ammortizzatori sociali che non ha contribuito ad accumulare, non avendo versato nulla. Il killer è l'impresa che delocalizza e partecipa alle gare nostrane, anche pubbliche, potendo consentirsi il massimo ribasso perché il costo del lavoro in Romania o Albania è un quinto di quello italiano e da noi non vige alcuna "clausola sociale" che garantisca il mantenimento del posto di lavoro in caso di cambio del titolare dell'appalto". La concorrenza è un fondamento del Mercato, ma esistono ormai forme di concorrenza sleale di cui bisogna assolutamente tenere conto. Se penso a tutta la retorica che si spende sulla difesa dei "prodotti nazionali", mi vien da sorridere a pensare, invece, come in questo caso, come in altri casi di delocalizzazione industriale, non ci sia una vera e propria ribellione da parte del consumatore. Vorrei, da questo punto di vista, che ci fossero elementi di chiarezza. Oggi, nella scelta di un operatore telefonico, essendo chiaro anche ad un bambino dell'asilo quanto sia esile la differenza fra le offerte, ingenerando il legittimo sospetto che ci sia alla fine una sorta di cartello che rende omogenei i prezzi, credo che sarebbe importante sapere, fin da subito, dove si trovi il "call center" che presterà le diverse di assistenza. Questo consentirebbe di aggiungere anche questo tipo di opzione alla contrattualistica proposta. In fondo la storia assomiglia a quella dei prodotti di vario genere marchiati "Made in Italy". Ancora recenti inchieste, dimostrano come famose "griffe" che giocano sul tasto del prodotto italiano nella moda, svolgono gran parte delle lavorazioni dei prodotti in Paesi sempre più distanti, dove il costo e le condizioni del lavoro consentono di lucrare al massimo. Scelta legittima di qualunque imprenditore, nella logica di massimizzare i profitti, ma diritto anche per il cliente di capire bene, senza alcun dubbio alcuno, quanto di realmente "Made in Italy" ci sia nel prodotto che acquista. Questa trasparenza consentirebbe, in fondo, di scegliere in coscienza.