Seguo, come tutti, le dolenti notizie che arrivano da Ragusa. Questa giovane madre, Veronica Panarello, 26 anni, accusata di avere strangolato il figlio. Una storia cominciata a fine novembre, con il rinvenimento del piccolo Loris, otto anni, gettato per altro ancora agonizzante in un canale. La pista del possibile pedofilo ha retto poche ore. Sul fatto si sono tutti gettati a pesce: la cronaca nera continua ad essere, specie per certa televisione, la regina degli ascolti, in particolare di quei contenitori televisivi - sfuggiti ormai ad elementari logiche deontologiche con buona pace dell'Ordine dei giornalisti, che se occupa a gabbie ormai aperte... - che amano le storiacce a tinte forti e per i cronisti dei giornali sul posto esiste l'imperativo di scavare filoni originali per distinguersi dai colleghi. Ne risulta, alla fine, una quadro descrittivo della madre, delle sue origini, della sua famiglia, di quella provincia siciliana degna di essere raccontata - nel suo strano impasto linguistico e con il suo acume - da un Andrea Camilleri. Penso ne farebbe in fretta un successo letterario. Ma, su queste vicende di follia e orrore, tutto il mondo è paese e, se la donna non confesserà, si entrerà nel girone dantesco dei processi, sapendo come un processo indiziario apra automaticamente lo spazio a innocentisti e colpevolisti e agli ospiti delle trasmissioni, che sono ormai una specie di "Circo Barnum" fra avvocati, criminologi, psicologi ed opinionisti. Scelti in genere fra chi urla più forte e aggredisce gli avversari, perché la televisione gridata sembra essere quella che garantisce gli ascolti, ammesso e non concesso che sia così. Certo che il riferimento ad Annamaria Franzoni e di quello che purtroppo resta agli atti come il "delitto di Cogne" viene subito alla mente. Il 30 gennaio 2002, nella celebre villetta di Montroz (come da plastico di Bruno Vespa) uccise il figlio Samuele Lorenzi, come riconosciuto in modo definitivo sei anni dopo con la sentenza di Cassazione. Quel caso divenne un avvenimento mediatico senza pari sia per l'avvenenza della Franzoni, che andò più volte in televisione, sia perché questo faceva parte di una precisa strategia processuale di difesa a mezzo stampa. Si tratta di vicende che devono essere studiate da chiunque faccia il mestiere dell'informazione, perché si trattò di una palese stortura di un processo mediatico, che è diventato purtroppo un modello cui riferirsi per gli altri mille casi intricati di questo genere. Devo dire per onestà che io stesso - nel gioco dei pro e dei contro - mi schierai istintivamente con chi riteneva il comportamento della Franzoni come segno evidente di una sua colpevolezza, e devo dire che l'esito dei tre gradi di giudizio mi ha confortato in questa impressione, che ebbi fin dal funerale del piccolo Samuele. Spero solo che il caso di Ragusa finisca meglio, nel senso che non si resti con il retrogusto amaro - valido per me sulla questione di Cogne - che non tutto sia stato davvero scoperto. Chi coprì e chi aiutò la Franzoni subito dopo il delitto? Con quale oggetto fu davvero ucciso Samuele? Possibile che nessuno, nell'intimità della famiglia, le abbia strappato la verità? Sono dubbi "usa e getta", che non servono a niente. Ma che forse chiariscono come, a fronte di delitti di questo genere, contino davvero i primi momenti sia nei contatti con chi si ritiene colpevole attraverso una reale capacità negli interrogatori, sia con le analisi ormai avanzatissime che si devono poter fare sugli scenari dei delitti, a condizione che non si cancellino per imperizia tutti quei "segni" utili poi nelle fasi processuali. Par di capire che a Cogne, su entrambi i fronti, fu un disastro. Ormai le serie televisive poliziesche o noir, specie americane, ci abituano, così come le goffe imitazioni italiane, alla perizia e sagacia di veri e propri segugi del crimine, che sciolgono dubbi e ingabbiano i colpevoli. Ma si tratta di fiction.