Sarà pure che ogni tanto si ha la viva impressione che viviamo in un mondo alla rovescia, ma nel marasma, per quel che mi concerne, sento di avere qualche punto fermo da cui non me la sento di deflettere. È lo scrittore Stefano Benni a tracciare con chiarezza la croce di chi ama la puntualità: "La vita del puntuale è un inferno di solitudini immeritate". Quando sei lì che aspetti e maledici chi non arriva in tempo. Con l'aggravante, talvolta, che chi ritarda si bea di questo suo modo di essere ed esiste persino una lieve presunzione di superiorità o una richiesta di considerazione di questo difettuccio, come se si trattasse di un approccio eccentrico da rispettare, che andrebbe valutato come preziosismo. Per dire che sembri tu il fesso un po' maniaco che fissa l'orologio rispetto, invece, ad un approccio libertario di chi non lo guarda. Spesso poi il ritardatario, quando non sbandiera un vizio considerandolo virtù, sceglie la strada della bugia. Ricordo un politico valdostano, con cui ci dovevamo vedere, cui telefonai per sapere dove diavolo fosse finito e lui serafico: «Sono in macchina». Menzogna pietosa, visto l'evidente rumore di sottofondo di una doccia che scrosciava...
Appartengo alla categoria dei puntuali per formazione familiare. Fin da piccolo, mio papà - sempre puntuale, anzi della filosofia «essere lì qualche minuto prima» - mi ha forgiato per essere una persona in orario. Se non lo sono scatta un sordo senso di colpa e, se davvero capita di non arrivare in tempo, avverto con compunzione che arriverò in ritardo. Cosa rara proprio per evitare il malessere. Questo fatto crea in effetti un campo di appartenenza e tocca sopportare l'altra parte del mondo: i ritardatari. Era Oscar Wilde nel "Ritratto di Dorian Gray" ad aver scritto: "Era sempre in ritardo, per principio, essendo una delle sue teorie che la puntualità è la ladra del tempo". Invece, i ladri del tempo sono di sicuro i ritardatari. Ricordo a Roma lo sconcerto da giovane deputato, quando la Commissione parlamentare era fissata per le 9 e scoprivi che si trattava di un orario indicativo nelle abitudini romane. Quando mi sono trovato dalla parte di chi l'orario di inizio lo gestiva è scattata la vendetta. Ricordo al Parlamento europeo, quando presiedevo la mia Commissione che iniziai la prima volta spaccando il minuto (con gioia del mio funzionario, segretario tedesco prussiano). Intervenne un deputato greco sull'ordine dei lavori, sostenendo che il mio predecessore, suo connazionale, aveva abituato tutti a un quarto d'ora di ritardo per prassi. Risposi, godendo, che con me la puntualità sarebbe stata rispettata. Idem nell'esperienza di insegnamento universitario: scardinai, nel mio minuscolo, il luogo comune del quarto d'ora accademico di ritardo. Da questo punto di vista, le riunioni politiche più belle sono sempre state quelle in Svizzera. Sarà che è il Paese dell'orologio a cucù e patria degli orologi di precisione, ma lì non si scappa alla mia amata puntualità. Applaudo e condivido. Consentitemi, invece, di sorridere allo studio del "The Wall Street Journal", ripreso da "Repubblica", che divide la specie umana in individui di "tipo A" (precisi, puntuali, competitivi, anche con punte di aggressività) e di "tipo B" cioè i ritardatari. Il "tipo B" avrebbe addirittura un orologio mentale diverso, dove le lancette si muoverebbero più lentamente. Il "tipo A" organizzerebbe, infatti, la sua vita come se un minuto durasse 58 secondi, per il "tipo B" invece durerebbe ben 77 secondi. C'è da crederci?